La mia storia pesarese potrebbe essere la vostra storia. Non perché l’abbiamo vissuta nelle stesse situazioni, con gli stessi ideali politici ed analoghi sentimenti. Perché, nell’immaginario collettivo della nostra città di Pesaro e non solo, quell’anno fu impetuoso ed improvviso per un’intera generazione. Il sessantotto fu un anno diverso dagli altri. Quella generazione non voleva “tutto” in un futuro lontano ma lo volle “subito”. Fallì. O meglio, come si rammaricava recentemente un mio compagno di naia, posso affermare che: “Non sono sicuro di lasciare ai miei figli un mondo migliore!”. Ci abbiamo provato, questo si. Se dovessimo rappresentare su di un diagramma l’andamento dei nostri sogni, in quel 1968 la curva si impennò in un suo apice. Poi l’andamento delle nostre speranze, bruscamente come era salito, ridiscese. Anche se il ’68 italiano è stato più duraturo rispetto ad altri paesi… Verso la fine del diagramma potremmo trovare allora la storia di un altro pesarese, quella di Francesco Lorusso. Nel 1977, quel giovane studente cattolico di 25 anni finì i suoi sogni in modo drammatico. Francesco Lorusso, Checco per gli amici scout Asci della Chiesa di San Giovanni, era giunto con la famiglia da Modena nella nostra città intorno al 1969. Era figlio di un colonnello dell’esercito e di una insegnante. Aveva la fede del fervente cattolico ma abbracciò anche quella di “una solidarietà sociale e ideale totalizzante” che lo portò a morire l’11 marzo del 1977. Una pallottola, sparata contro il fumo dei lacrimogeni, lo colpì in pieno petto. Francesco era studente di medicina a Bologna. Nella nostra città, intorno a lui, ruotavano i pesaresi del mondo scoutistico dell’epoca: il caporeparto Fausto Filippini, i frati di San Giovanni, gli amici: Corrado, Paolo, Andreone, Giorgio e Antonio. Lasciò Pesaro che “…era un mite, il più disciplinato degli scout, ma l’amico Corrado sentì che qualcosa era cambiato in lui quando andò a trovarlo…”.
Anche con la morte di Francesco, gli italiani e i pesaresi, iniziarono il risveglio dal sogno. Rimangono, vivide nella nostra mente, le parole e gli slogan coi quali volevamo cambiare il mondo. Ecco alcuni slogan: “Prendiamoci la vita”, “La rivoluzione comincia da noi stessi”, “Coloriamo i pensieri e balliamoci intorno”, “Ci han diviso in brutte e belle ma noi siamo tutte sorelle”, “Tremate, tremate, le streghe son tornate”, “Sarà una risata che vi seppellirà”, “Oggi è solo primavera, tremate, arriverà l’estate”. Era un diluvio di intercalari come: “nella misura in cui”, “al limite”, “a monte”, “a livello di”, “pazzesco”, “allucinante”. Tic linguistici formatisi in nome di identità popolari immaginarie.
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Nel 1977 frequentavo l’Università di Bologna. L’anno precedente, che era per me quello della maturità, mi ero fatto notare nel mio liceo per le convinzioni contrastanti con quelle del movimento studentesco. Il 14 febbraio 1976 fui ricosciuto, tramite un album di “foto segnaletiche”, da un gruppo di appartenenti al servizio d’ordine della Facoltà di Medicina di “ronda” davanti alla scuola. Inseguito da una decina di ragazzi armati di manici di piccone e chiavi inglesi riuscii a barricarmi dentro una abitazione e mi salvai per un soffio. Ebbi modo però di notare i volti di due di loro: uno lo incontrai molti anni dopo nei panni di un dirigente dell’USL e l’altro, quando vidi le sue foto sul giornale, mi sembrò il povero Lorusso. Non sono certo in modo assoluto del riconoscimento (anzi spero di sbagliarmi) e sono rimasto turbato nel leggere per caso la sua tragica storia in questo articolo di un periodico diocesano, anche perchè ero e sono cattolico praticante. In quegli anni terribili i “salti ideologici” e le prese di posizione estreme erano frequenti e non mi stupisce che il figlio di un colonnello dell’esercito (anch’io sono stato ufficiale dell’esercito), proveniente da un ambiente parrocchiale e dal mondo scout, andasse a sprangare ragazzi che non conosceva neppure. A volte, passando in Via Mascarella sul luogo della sua morte, mi fermo a guardare i fori di proiettili ancora ben visibili nell’intonaco e penso all’odio che l’ideologia aveva instillato in quei giovani, al fallimento dei loro ideali, al fatto che comunque a Bologna adesso rappresentano la classe dirigente. Ho pregato per lui.