Mi chiamo Luigi, ho 44 anni, da quasi 18 anni vivo in prigione. Tra circa sei mesi tornerò in libertà. Finalmente ho finito di scontare il mio debito verso la società e verso lo Stato. Nel corso degli anni ho visto e toccato con mano la sofferenza, ho sposato il significato di agonia e di ansia perché loro sono diventate le mie compagne di viaggio. Ho dovuto imparare a difendermi dall’arroganza, dalla prepotenza e dall’ignoranza di chi qui dentro si sente qualcuno, da chi si sente speciale. Soprattutto ho dovuto imparare ad assecondare la mia mente per non impazzire. Mi sveglio la mattina e, lavandomi i denti, mi osservo allo specchio. Guardo i miei occhi. La luce che vedevo prima del mio arresto si è spenta da molto oramai. I tratti del mio volto sono cambiati. Sono più vecchio, più uomo e consapevole che tra poco sarò libero. Dopo anni paradossalmente ho paura. Una grande paura. Sì perché lì fuori, non c’è nessuno che mi verrà a prendere. Né mia madre, nè mio padre, nè mia moglie o i miei figli. Dimenticati ormai da troppo tempo, volutamente cancellati dalla mia mente.
Per la mia e la loro sopravvivenza non ho più niente, neppure una casa o un posto dove andare. Mi chiedo: ed ora? Stato, mia Italia, che ti sei presa cura di me per 18 anni, ti sei preoccupata di “rieducarmi”, ora cosa mi dai? Nulla! Io che spavento gli uomini con la mia mole e con la mia voce, oggi ho paura del futuro e allora penso che la mia casa è forse questa ormai…
Io invece mi chiamo Piero ed ho 55 anni. Dopo quasi 30 anni di galera, sballottato in tutti i carceri d’Italia, ho avuto modo di conoscere migliaia di persone come me, tutti collegati da un unico filo: “ la speranza ”. Conosco bene il significato della parola solitudine che ti fa scoprire poco a poco cos’è il dolore dell’anima. Ricordi frammentati della mia vita prima della prigione mi tengono ancora vivo. Ho provato sulla mia pelle per molti anni l’isolamento, i maltrattamenti fisici e psicologici quotidiani. Continuo a ripetermi: forza! Tieni duro! Non mollare! Ma poi per chi? Per cosa? Penso a mia moglie, ma anche lei mi ha abbandonato e i miei figli non ci sono più. Li ricordo ancora piccolissimi, uno non l’ho nemmeno visto nascere. Tra circa un mese tornerò in libertà. Chi e cosa mi aspetta li fuori? Una speranza, una nuova vita forse? Qualcuno spero ci sarà, il mio nuovo amore, che ho avuto la fortuna di coltivare da qui dentro, scrivendole lettere e aprendole il mio cuore. L’unico modo per sentirmi ancora vivo e umano. L’amore, meravigliosa possibilità con la speranza per me, di una vita nuova dopo la prigione.
Ho sbagliato tanto, ma ho pagato. Oggi mi sento spaesato, senza bussola. La porta finalmente si aprirà, ma là fuori non mi è rimasto più niente. Ricomincerò tutto da capo, chiaramente senza più sbagliare. La vita per me è stata dura e difficile ma non rimpiango niente. Ho avuto tanto e ho dato tanto. Ora mi sento un sopravvissuto, spesso incompreso, eppure, dopo tanti anni, nessuno ha ancora capito che l’amore è l’unica forza che mi può abbattere. Dedico questo pensiero a loro che mi hanno aiutato qui dentro, augurandogli di trovare tutto quello che desiderano fuori di qui, perché ho capito che anche all’inferno si possono trovare grandi uomini.
Giovanni