Nell’era della comunicazione mediatica, tiene sempre banco una antica, ma sempre attuale, “comunicazione” non-mediatica: quella del Presepe. Anche un gruppetto di detenuti del carcere di Pesaro hanno allestito il Presepe per comunicare a tutti l’evento più straordinario della storia: l’Incarnazione di Dio. Dietro le sbarre ci sono cuori che pulsano.
Neppure le sbarre possono impedire il calore della presenza del Dio che entra nei cuori per salvare e redimere, per “scaldare” quei cuori relegati dentro quelle inferriate.
Da cappellano (e da francescano!) vorrei immedesimarmi in quella fede e in quell’ardente amore per il Mistero natalizio che spinse San Francesco a “rappresentare” il Natale con la meravigliosa intuizione del Presepe.
Riguardo al Natale, tanti detenuti vivono l’“attesa”. Un’attesa non precisata, forse un po’ confusa; c’è attesa che arrivi qualche buona notizia che possa riaccendere speranze concrete. Speranze di riabbracciare qualche famigliare lontano. Speranze di liberazione e speranze di qualcosa di nuovo…
Il mio auspicio è che tutta questa attesa possa incontrare la stessa che viveva il popolo ebreo: quella del Messia, il vero Liberatore dei cuori, Colui che ora libera dalle afflizioni provocate dal vizio, dagli errori, dalle fragilità, dagli incidenti di percorso… E’ diventato luogo comune dire che a Natale diventiamo tutti un po’ più buoni (se fosse vero sarebbe già molto!). Giovanni Battista ci chiede di più, ci chiede di cambiare vita. Lo chiede ai detenuti, lo chiede a tutti noi quando dice, citando Isaia, “preparate la via al Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. Mi viene alla mente il pensiero che Benedetto XVI ha rivolto ai detenuti di Rebibbia circa un anno fa:
«Cari amici, il Natale del Signore riaccende di speranza e di amore il vostro cuore. La nascita del Signore Gesù ci ricorda la sua missione di portare la salvezza a tutti gli uomini, nessuno escluso. La sua salvezza non si impone, ma ci raggiunge attraverso gli atti di amore, di misericordia e di perdono che noi stessi sappiamo realizzare. Il Bambino di Betlemme sarà felice quando tutti gli uomini torneranno a Dio con cuore rinnovato».
Nelle occasioni dei colloqui individuali con i detenuti si parte quasi sempre da bisogni o necessità materiali. Poi si spazia fino a raggiungere il discorso strettamente religioso. Qui debbo dire che trovo sempre un buon interesse e gradimento. Tutti o quasi tutti gli interlocutori sono fieri di dichiararsi credenti, di pregare, di avere fiducia in Dio. Questo solitamente apre le porte ad un dialogo amichevole e costruttivo che non risolve, certo, i molteplici problemi del detenuto, ma può diventare un “appoggio” umano e spirituale, anch’esso necessario.
Prego perché tutti, indistintamente tutti, possano cogliere il messaggio vero del Natale: Dio è in mezzo a noi!
Padre Enrico Bonfigli– cappellano Casa Circondariale di Villa Fastiggi