Tante persone, mercoledì 10 luglio scorso, sono convenute in Cattedrale, per dare l’ultimo saluto ad Aletta Paolucci e per esprimere tutto il loro affetto e la loro vicinanza al marito, Silvano Fabbri, segretario arcivescovile da oltre vent’anni e al figlio Alessandro, docente presso l’Istituto Tecnico Agrario “Cecchi”. C’erano familiari, amici, rappresentanti delle istituzioni, tra cui il sindaco Biancani, presbiteri e diaconi: anche un fratello sacerdote di Silvano, che ha partecipato alla concelebrazione funebre presieduta dall’Arcivescovo, il quale ha rivolto ai presenti queste parole: “La pace sia con voi, in particolare, con te Silvano, con te Alessandro, perché la partenza di una persona cara è sempre un momento difficile. Ma noi siamo qui radunati per confermare la nostra fede pasquale in Cristo che ha vinto la morte. Vi siamo vicini con affetto: non solo noi presenti, ma anche gli assenti. Tanti sacerdoti, tra cui il Vicario Generale, che per impegni pastorali non possono partecipare, avrebbero voluto essere qui: segno di una relazione, di un’amicizia e di un servizio che ci ha accompagnato e legato in questi anni. Aletta, con la sua personalità discreta, era presente nel cuore di tutti noi. Abbiamo seguito il percorso della malattia, abbiamo sperato, abbiamo sofferto, abbiamo condiviso con voi questo percorso difficile. Oggi siamo qui per consegnare questa nostra sorella al Signore e per capovolgere, però, il nostro sguardo, come ci invita a fare la liturgia: la morte non segna “la” fine, ma “il” fine, il compimento dell’esistenza. Qualche giorno fa, sono stato colpito da alcune parole della canzone “Credo” di Simone Cristicchi: “Credo che alla fine del viaggio non ti sarà chiesto chi sei stato o quanti soldi hai guadagnato, ma quanto amore, quanta bellezza c’è in più dopo il tuo passaggio su questa terra”. Per quello che posso testimoniare io, questa bellezza in più, questo amore in più Aletta li ha generati. La fragilità, la malattia, se vissute con questo orizzonte ampio, diventano generative. Ho visto, in particolare in questi ultimi mesi, quanta premura, quanta attenzione, quante notti insonni vi sono state richieste. Tutto questo non è un di più di amore? Paradossalmente, quando ci troviamo nella incapacità, nella inattività, nell’impotenza, fioriscono l’attenzione e la cura. Ad Aletta non mancava l’olio della pazienza: non voleva pesare su voi familiari; era lei che infondeva coraggio e speranza, quando vi vedeva un po’ tristi e un po’ preoccupati rispetto alla sua salute. Era più attenta agli altri che a se stessa.
Siamo certi che la vita di Aletta non è tolta ma trasformata. Come dice San Paolo: “Chi potrà separarci dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia…la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori, in virtù di Colui che ci ha amati”. Questa era la fede di Aletta, che in tutto il tempo della malattia si è nutrita del corpo di Gesù, il Signore della vita, il faro di immortalità”.
IL SALUTO DEL MARITO SILVANO
Ciao Aletta. Ti voglio salutare come facevo tutte le sere quando lasciavo l’ospedale. Lo so, questo è un ciao diverso, ma non è un addio perché tu da lassù mi risponderai con un sorriso, magari accompagnato da una delle tue pungenti battute con le quali sapevi sdrammatizzare le situazioni difficili. Aletta, senza di te mi sento perso: mi mancheranno le tue manifestazioni d’affetto, la tua vivacità, la tua forza. Una forza di cui hai dato prova nella lunga malattia, vissuta con coraggio e senza lamenti, solo e sempre preoccupata per me e Alessandro. Compagna mia carissima, sorretto dalla fede, confido nel tuo sostegno: sei stata la mia forza in vita, continua ad esserlo da lassù. Voglio esprimere la mia gratitudine all’Arcivescovo e ai sacerdoti concelebranti di cui fa parte mio fratello. Un sentito grazie a tutti voi che avete condiviso il nostro saluto ad Aletta.
Chi era Aletta Paolucci
Nata il 23.02.1947 in Urbino, dove è vissuta fino all’età di sei anni, si è poi trasferita con la famiglia a Terni e successivamente a Pesaro. Qui, dopo aver frequentato le scuole medie, è stata assunta presso la libreria Malipiero, divenendone in pochi mesi la responsabile e trovandovi il luogo adatto a coltivare la sua grande passione per la lettura che non l’ha mai abbandonata. Nel frattempo, dopo un lungo fidanzamento durato otto anni, sposava Silvano Fabbri. Lasciata la libreria si è poi dedicata prima alla madre, gravemente malata, poi al padre con una abnegazione straordinaria. Quando il marito è diventato comandante di reparto della polizia penitenziaria dell’istituto penale per minori di Pesaro, ha lavorato con lui ad intervalli per circa tre anni in qualità di vigilatrice penitenziaria. Poi, dal 1987, si è dedicata alla famiglia per la quale ha sempre rappresentato un punto di forza straordinario, anche, e soprattutto, durante la lunga malattia.