“COME STA LA TEOLOGIA SACRAMENTARIA? Metodologie, manuali e pratiche di insegnamento al primo ciclo della formazione teologica e di scienze religiose”. E’ il tema del convegno nazionale del 4 e 5 settembre organizzato dall’Istituto Teologico Marchigiano (ITM) e dall’Istituto di Scienze Religiose Redemptoris Mater (ISSR) di Ancona e riservato ai docenti di Sacramentaria e Liturgia. Molte le presenze provenienti dalle facoltà teologiche di diverse sedi italiane: cammini a confronto, rinnovamento, nuove metodologie, didattica, integrazione disciplinare; una prima risposta alle esigenze formative delle scuole che preparano i futuri sacerdoti, i laici, i diaconi e i religiosi per le attività di servizio alla realtà ecclesiale e al mondo.
Ne parliamo con il Prof. Don Mario Florio, docente di Teologia Dogmatica, la disciplina che tratta i grandi temi delle verità della fede cattolica e direttore della rivista semestrale “Sacramentaria & Scienze Religiose” su cui verranno pubblicati prossimamente gli atti del convegno.
1 Don Mario, un convegno primo in Italia nel suo genere sulla “salute” della Teologia Sacramentaria perché?
L’idea è nata proprio ad Ancona perché da circa 30 anni ha il prestigio di presentare in Italia l’unico master di specializzazione in Teologia Sacramentaria con uno sguardo aperto sulla vita delle persone, ecclesiale e sociale, e verso le altre religioni. Prima della pandemia l’ITM ha promosso seminari di studio biennali per docenti di Sacramentaria e convegni biennali per il territorio marchigiano. Da anni, da quando ero Preside, meditavo l’esigenza di chiamare a convegno, per il primo ciclo di studi in teologia, i docenti di Sacramentaria e di Liturgia che insegnano negli istituti di Scienze Religiose sorti in Italia negli ultimi 20 anni. Liturgia e Sacramentaria sembravano un po’ la cenerentola nel piano degli studi e invece sono lo snodo combinato di tutte le altre discipline teologiche anche con riferimento alla pratica pastorale. Questo è un motivo ma ce n’è un altro: la domanda nella vita della Chiesa intorno alla realtà dei sacramenti è ancora molto alta.
2 I Sacramenti sono simboli efficaci, affidati alla Chiesa, della relazione tra Dio e l’Uomo; sembrano però sospesi tra fede da una parte e rito come tradizione e fatto sociale.
La questione è sul tappeto nella vita delle persone; se e quale fede sia richiesta per celebrare i sacramenti, i casi più evidenti: il Battesimo e il Matrimonio.
Quanto al Battesimo ci si trova di fronte alla domanda di scegliere un’appartenenza ma in base a quale fede?
Quanto al Matrimonio, invece, sono sempre di più le persone che si presentano al sacramento o con alle spalle tempi lunghi di distanza dalla pratica della fede (dalla Cresima in genere) e quindi di interruzione della pratica della fede o non hanno avuto da piccoli un’iniziazione cristiana. Le Marche seguono il passo di questi cambiamenti; è scemata la richiesta dei sacramenti sulla base di una convenzione sociale, e oggi prevale la libera scelta e una motivazione di fede.
3 Diminuisce la pratica sacramentaria, si semplificano i sacramenti: vanno forse ripensati nel linguaggio, nella comunicazione per avvicinare la sensibilità degli uomini?
Alcuni anni fa una rivista specialistica nel campo dei sacramenti e della liturgia titolava un fascicolo “Come dire i Sacramenti oggi”? Il cantiere è aperto però un punto risulta acquisito, peraltro proprio al termine del convegno: i sacramenti non hanno a che fare solo con la testa ma con una pratica e quindi con un’azione in cui tutta la persona è chiamata in gioco. Per questa ragione risponderei alla domanda del fascicolo con un’altra domanda “Come fare i Sacramenti oggi?” e come ogni rito il sacramento non si può comprendere se non vivendolo e quindi immergendosi nella logica che il rito stesso propone. E ogni rito cristiano come sacramento ha al suo interno il rito di Gesù; la presa di contatto con il rito cristiano è la presa di contatto con Gesù e con la comunità cristiana che lo celebra. E’ questo il punto critico ma non sul versante di Gesù quanto piuttosto sul versante della pratica che viene proposta e messa in onda nella celebrazione.
4 Dalle prime sintesi del Cammino Sinodale sembra emergere una distanza tra la liturgia, le celebrazioni e la vita reale, come farle incontrare?
Ci sono certamente ragioni che allontanano la partecipazione alla liturgia ma manca prima di tutto l’evangelizzazione. Il sacramento non può essere celebrato nella forma di un Fast Food. Il rito cristiano può parlare bene il suo linguaggio e diventare attraente suscitando così la domanda a due condizioni:
-Prendersi cura della bellezza della liturgia.
-Prendersi cura dei poveri accogliendoli nella vita cristiana che così diventa liturgia. Questa è la sapienza di Gesù che la Chiesa custodisce ed è chiamata a rimettere sempre in gioco nelle generazioni che si susseguono nel tempo. Ogni rito cristiano coinvolge un’assemblea nella quale sono presenti trasversalmente e simultaneamente storie di generazioni diverse; dai bambini ai ragazzi, dai giovani agli adulti, agli anziani. Il miracolo sarebbe parlare a tutti parlando a ciascuno e per questo il fattore tempo è importante.
Ecco qui il valore aggiunto della ripetitività dei riti per cui il messaggio che non mi ha raggiunto quella domenica magari mi raggiunge la domenica dopo o raggiunge una persona diversa da me. Ciò che è lontano dallo stile di Gesù e della liturgia è il tutto e subito visto che siamo persone incarnate nel tempo e nello spazio con un corpo che attraversa le diverse stagioni della vita. Poi riguardo lo specifico capitolo dell’omelia, il Papa si è fermato e si ferma a lungo con messaggi precisi sullo stile, sui contenuti e sulla durata dell’omelia. Linguaggio concreto, profondità spirituale che fa ricorso alle immagini e chiama ad un impegno personale e sociale. L’ITM proprio quest’anno ha proposto un corso a più voci sull’omiletica (stile e contenuti) per futuri sacerdoti e diaconi; un contributo uscirà nel n.60 della rivista con una lezione di Mons. Nazzareno Marconi, Presidente della Conferenza Episcopale Marchigiana e Vescovo di Macerata.
5 La Teologia risponde a tante domande ma talvolta appare autoreferenziale, quale dialogo con le scienze umane in una chiesa più attenta e più aperta alle esigenze spirituali dell’uomo?
Il rischio c’è sia per i linguaggi che per i contenuti; da qui la necessità costante di un rapporto fecondo e critico con la gente, la città, le istituzioni culturali, l’Università ma prima ancora con un dialogo convinto e assiduo nella preghiera con il Signore. È necessario che la Teologia comunichi e lasci spazio alle Scienze Umane per parlare con l’uomo di oggi, valorizzandone i suoi linguaggi. Per questo nel piano di studi del primo ciclo oltre alla Filosofia sono presenti la Pedagogia, la Psicologia, la Sociologia e la Storia delle Religioni.
6 In conclusione il convegno che risposta ha dato sulla “salute “della Teologia Sacramentaria? Ci sarà un seguito?
Il convegno ha avuto a parer mio, ma anche dei presenti, l’esito atteso di una convergenza fondamentale per quanto riguarda il rapporto tra Liturgia e Sacramentaria. I Sacramenti sono come pesci, vivono in acqua, cioè nella Liturgia; per scoprirli e conoscerli possiamo comprarli dal pescivendolo ma sono già morti oppure possiamo tuffarci in acqua e scoprirli nel loro mondo vitale. Si vorrebbe proseguire con un convegno nel 2025 guardando ad un’ipotesi di lavoro che dopo la diagnosi “Come sta la Teologia Sacramentaria”? proponga la prognosi a partire dalla domanda “Dove va la Teologia Sacramentaria?”