“La Chiesa ha attraversato, nel corso dei secoli, innumerevoli crisi e prove, non causate solo dall’ostilità dei nemici esterni, ma anche dalle colpe dei suoi stessi membri e tuttavia non ha mai smarrito la tensione a riformarsi, cioè a ritrovare la forma originaria voluta da Gesù”. Con queste parole, l’arcivescovo Sandro Salvucci ha aperto la sua omelia durante la S. Messa di domenica 9 ottobre, nell’Abbadia di San Tommaso in Foglia, in occasione del 975° anniversario della morte di Papa Clemente II, avvenuta proprio in questo luogo.
Delegazioni. Una celebrazione promossa, all’interno di altre iniziative, dal parroco di Montelabbate don Alois Fechet, dall’amministrazione comunale e da varie associazioni, alla quale hanno presenziato anche la rappresentante della Regione Marche Micaela Vitri e una delegazione tedesca di Hornburg, cittadina d’origine del Papa, con cui il paese di Montelabbate è gemellato fin dal 1981. Certo quella del secolo XI era una Chiesa “oltremodo sofferente e afflitta da tanti mali”, come ha ricordato nella sua ricostruzione storica Roberto Rossi dell’Associazione culturale “Mons Abbatis”: mondanità, corruzione, compravendita delle cariche ecclesiastiche, simonia. Ma c’erano anche tanti fedeli che avevano a cuore il suo risanamento, come l’imperatore Enrico III, che proprio per questo aveva proposto, per il soglio pontificio, l’arcivescovo di Bamberga, un uomo santo, “notevole sia fisicamente che moralmente”, di appena quarant’anni, che avrebbe spazzato via tre antipapi, espressioni di altrettanti potentati e famiglie della nobiltà romana.
Storia. Ma l’arcivescovo aveva un carattere mite, come dimostra la scelta stessa del nome Clemente, non conosceva autoritarismi né imposizioni. Si attirò quindi le critiche aspre del monaco Pier Damiani, anch’egli santo, ma “di una santità irruente, senza compromessi”, il quale avrebbe voluto che il Papa intervenisse con più decisione sui gravi scandali che affliggevano la Chiesa. Le speranze di tutti così sembrarono disattese. Quando Clemente II, sentitosi male mentre rientrava a Roma dopo aver accompagnato Enrico III in Germania, decise di riparare nel piccolo monastero benedettino di San Tommaso, era ormai un “Papa messo all’angolo”, tremendamente solo e impotente, lontano da tutti coloro che lo avevano stimato e che da lui si aspettavano una svolta nella storia della Chiesa. Sentendo avvicinarsi la fine dopo solo un anno di pontificato, fece l’unico atto che forse sul letto di morte un papa poteva fare: donò vasti possedimenti alla piccola Abbadia di San Tommaso, nella speranza che quel luogo di preghiera, di lavoro, di pace diventasse grande e contagiasse con la sua santità tutta la Chiesa.
Don Zenaldo. Il suo augurio “Benevalete” (state bene), scritto con mano tremante, ha attraversato quasi mille anni di storia e risuona come un compito per la comunità cristiana di oggi: grazie soprattutto a don Zenaldo Del Vecchio, il quale con la sua passione, la caparbietà, i suoi apporti di memorie, ha permesso che l’Abbazia venisse recuperata e rimanesse nel cuore della gente. “I semi che Dio diffonde nella storia – ha detto mons. Salvucci – continuano a germogliare, anche se tra paure e fallimenti. Ma noi cristiani abbiamo una radice a cui tornare per riformarci e convertirci: la comunione con Cristo”.
Festa all’Abbadia
Sabato 15 ottobre ore 16.00: antichi giochi popolari. Ore 20.00 S. Messa all’Abbadia, celebra don Pavel Chelaru, a seguire vin brulè e caldarroste. Domenica 16 ottobre ore 11.00 S. Messa all’Abbadia, celebra don Stefano Brizi, Vicario Generale. Ore 15.30 processione per le vie del paese. Ore 20.00 esibizione giovani talenti.