Pesaro – DI PAOLA CAMPANINI
È stata una vera e propria immersione nel mondo della scuola quella che l’arcivescovo Sandro ha vissuto la settimana scorsa. Ha celebrato, nel santuario della Madonna delle Grazie, una S. Messa di ringraziamento per tutto il personale scolastico, organizzata, a conclusione dell’anno, dall’AIMC e dall’Ufficio Scuola diocesano. Ha visitato le scuole dell’infanzia e primaria delle Suore Missionarie della Fanciullezza, dove è stato accolto con grande affetto e allegria dai bambini che sventolavano le bandierine con il suo stemma e dove non solo ha potuto apprezzare la loro bravura nell’eseguire strumentalmente la canzone gospel Oh happy day, ma si è soprattutto divertito a rispondere alle loro domande spontanee e curiose. Ha infine partecipato alla Festa di fine anno della Nuova Scuola ai “Vivai Pascucci”, dove, all’esecuzione di canti in varie lingue ad opera degli studenti dei vari livelli, sono seguite le testimonianze di alcuni docenti e soprattutto dei liceali, che hanno presentato all’ospite del giorno, Silvio Cattarina, le loro inquietudini e domande.
Educazione. Tre momenti intensi, legati da un filo comune: l’educazione. E certamente Cattarina, carico della sua più che trentennale esperienza nella comunità “L’Imprevisto”, ha gettato un fascio di luce su questo compito che è nel cuore di tutti, ma che anche intimorisce tutti, docenti e genitori, per la sua complessità. Perché purtroppo non bastano neppure l’affetto, la cura, la premura, l’attenzione. Ogni bambino, infatti, viene al mondo in forza di una grande promessa di felicità e ha dentro un’attesa, che non è sua e nemmeno nostra, ma viene da lontano, da un altro mondo. Un’attesa che in tanti ragazzi si colora di tristezza, di inquietudine, di nostalgia: sentimenti che gli psicologi dipingono negativamente e invece sono bellissimi perché alludono a questo desiderio infinito che la loro vita sia grande, utile, importante per il mondo.
Fiducia. Se i ragazzi non incontrano, in famiglia, a scuola, tra gli amici, persone che gettano una luce su questa promessa e indicano una strada in cui vivere questa attesa, pian piano si demotivano, cominciano a stare soli, a dubitare, si arrabbiano. Se non vengono aiutati a guardare bene il loro cuore, a scoprire il “di più” da cui proviene (il mare da cui deriva l’onda, come dice Rebora), se non vengono aiutati a questo livello così profondo e radicale, i giovani si spengono. Ma questo vale anche per gli adulti. Un educatore è grande non tanto per la sua competenza, la sua passione, il suo trasporto, quanto per ciò di cui è segno, per ciò a cui consegna veramente il suo cuore. I giovani vanno ascoltati, accolti, accompagnati, ma con uno scopo, una ragione grande. L’arcivescovo ha goduto di tutte e tre queste esperienze, dalle quali ha detto di avere ricevuto tanto. E ha invitato a guardare Maria: una giovane che si è fidata di una storia più grande di lei e ha accolto l’infinito nella finitezza della sua umanità.