«La chiamata dei vostri parroci è la stessa che Gesù ha rivolto, fissandoli in volto, a Simone, Andrea, Giacomo, Giovanni: ho bisogno di voi, seguitemi! E voi, come quei pescatori, avete risposto: eccomi, ci sono, vale la pena seguire questo uomo che ci ha guardato con amore e ci ha presi sul serio».
L’arcivescovo Sandro ha subito chiarito – venerdì 3 giugno – la vera origine e la vera natura dell’oratorio alle centinaia di giovani educatori ed animatori che erano convenuti, su iniziativa dell’Ufficio Pastorale guidato da don Giuseppe Fabbrini, nel campo sportivo di S. Maria di Loreto, per presentare i temi dell’anno, ricevere il “mandato” ed essere benedetti.
Centuplo. Guidare e animare un oratorio, infatti, non significa soltanto offrire un servizio alle famiglie, prendersi cura dei più piccoli e dei più giovani, ascoltarli, prestare loro attenzione: attività pure in sé generose e ammirevoli, perché implicano un uscire da sé, lasciare il proprio comodo divano, la spiaggia, la playstation, il Nintendo, per donarsi agli altri. Più radicalmente, però, scegliere di lavorare in oratorio significa “decidere di essere il volto giovane della Chiesa” e perciò lasciarsi educare da Gesù Maestro e accompagnare i più piccoli a comprendere quanto Gesù fa e dice per il bene di ciascuno. L’impegno che si assume, perciò, è solenne e va preso in libertà: per questo l’arcivescovo ha voluto che i giovani si alzassero tutti in piedi e pronunciassero il loro “sì, lo voglio” con voce alta e decisa. «È ragionevole comunque – ha sottolineato ancora don Sandro – porsi la domanda di Pietro, il quale, avendo seguito Gesù da un po’ di tempo, gli chiede: che cosa ne avremo in cambio? Così anche voi giovani oggi dovete domandarvi: vale la pena fare questa scelta? Quale vantaggio, quale convenienza ne ricevete?». La promessa di Gesù è altissima: il centuplo quaggiù. L’esperienza cioè di una felicità che è cento volte più grande di quella che potrebbero dare tutte le cose del mondo: è la felicità di essere una comunità, di condividere momenti formativi e ricreativi; di sentirsi amati e di imparare ad amare in tutte le circostanze della vita, che così si rivelano profondamente unite.
Arcobaleno. L’arcivescovo ha augurato a tutti i giovani di fare questa esperienza e ha promesso di essere fedele all’impegno di andare a trovarli in tutti gli oratori, per vederli sul campo insieme ai bambini e benedirli lì dove sono. «C’è tanta bellezza nella Chiesa di Pesaro – ha poi commentato sulla base delle sue prime conoscenze – e per coglierla, uno sguardo esterno è più facilitato, perché spesso dal di dentro si intravede solo ciò che affatica». A volte capitano curiose “coincidenze”: sopra quella folla festosa di giovani che cantavano, ballavano e mangiavano la pizza, si è aperto un bellissimo arcobaleno. Un “segno” che anche il cielo partecipava della gioia di quell’incontro e imprimeva, con quel suggello, la sua benedizione.