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      Presentata l’icona del “Buon Pastore”

      Redazione di UrbinoDi Redazione di UrbinoNessun commento3 minuti di lettura
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      L’opera realizzata da una sorella clarissa cappuccina del monastero è stata commissionata dal Rettore del Seminario Regionale di Ancona.

      La sera del 26 aprile, in un clima raccolto e quasi familiare, nella chiesa delle Cappuccine di Mercatello sul Metauro, c’è stato un bel momento di riflessione e condivisione grazie all’icona del “Buon Pastore” commissionata dal Rettore del seminario regionale di Ancona e realizzata da una sorella. Nella presentazione che ha animato la serata sono emersi tratti significativi. Quando pensiamo a Cristo «Buon Pastore,» abitualmente lo immaginiamo con le pecore intorno e con un agnello sulle spalle o in braccio.

      Immagine. Qui troviamo qualcosa di più inconsueto: sulle spalle il Cristo porta un uomo –Adamo- e poi tira su per il polso anche una donna: Eva. Il linguaggio è chiaramente simbolico. Nella tradizione dei Padri della Chiesa, infatti, l’immagine del Buon Pastore assume caratteristiche pasquali: il Pastore è Colui che scende fino nella morte e negli inferi per trovare la pecorella smarrita e riportarla al Padre. Dopo il peccato l’uomo si trova privato della vita: povero, bisognoso e isolato dalla Comunione. In Adamo ed Eva – simbolo dell’intera umanità-  si può ritrovare ogni volto: da quello del primo uomo, fino all’ultimo che sta nascendo in questo momento. Siamo noi!

      Cristo si presenta chiaramente come il Risorto: la veste sfolgorante di bianco ci parla della gloria, la luce che salva, la vita eterna del Figlio; le ferite aperte, ma gloriose; i piedi in posizione ascendente: Cristo si è inabissato dentro l’umanità, per innalzare l’uomo.

      Adamo. Da notare il particolare incontro di sguardi: Adamo, il vecchio uomo che, con il peccato ha perduto la sua identità, incontrando lo sguardo del Salvatore, finalmente scopre chi è. È come se -specchiandosi in Cristo-  dicesse: “Ecco chi sono io: Lui è il prototipo e io la sua immagine. Io sono plasmato a immagine del Figlio!”. Ora Cristo vede con gli occhi di Adamo, e Adamo vede con gli occhi pieni di misericordia di Cristo. Lo sguardo di Adamo finalmente si sazia in quello del Redentore: è un uomo nuovo! Il Cristo a sua volta, avendo ritrovato l’uomo perduto, sembra cercare anche colui che si trova davanti all’immagine. Nel Suo sguardo c’è posto per chiunque e, quanto più siamo perduti, tanto più siamo attraenti per Lui!

      Eva. La donna è afferrata da Cristo per il polso, con un gesto molto deciso. Per gli antichi il polso era la sede della vita a causa del battito del cuore che in quel punto si può sentire chiaramente. La donna, nata da una ferita (quella della costola del primo Adamo da cui è stata plasmata) ora rinasce da un’altra ferita: quella che il Padre ha permesso fosse inflitta sul corpo del Figlio affinché ne nascesse l’umanità salvata. La stessa mano di Eva che prima aveva afferrato il frutto, ora aderisce, si dona liberamente e riconosce, nell’uomo, Cristo stesso: il vero “frutto” dell’amore del Padre che la raggiunge e dal quale si lascia afferrare. Attraverso le mani di Cristo, di Adamo e di Eva si può leggere il “dialogo” d’amore tra Dio e l’umanità che avviene nella Redenzione: l’uomo e la donna, che col peccato si erano allontanati uno dall’altro, ora si ritrovano e si riconoscono come parte uno dell’altro, uno per l’altro, si danno la mano, in Cristo che li ricongiunge. Quando ci lasciamo afferrare da Cristo, ci troviamo innestati e trasformati in un unico Corpo: la vita della Chiesa, cioè l’amore che si realizza nell’umanità e la rende capace di comunione, di relazioni nuove e rigenerate.

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