Ne “L’Osservatore Romano” ho letto, con sorpresa, un articolo di Mons. Felice Accrocca, arcivescovo di Benevento, profondo conoscitore della storia del francescanesimo, dal titolo “La croce nel primo secolo francescano”.
L’Accrocca, facendo riferimento al convegno internazionale tenutosi a Spoleto nel febbraio 2023, parla del tema della croce prima, durante e dopo Francesco. Nel passato, sulla rivista della Diocesi “Memoria Rerum”, ho affrontato la questione scrivendo l’articolo dal titolo «Con San Francesco d’Assisi l’arte cambia volto e si rinnova» (VI, 2015, pagg. 33-44 e128-136). Il rapporto di Francesco con il Crocifisso inizia a San Damiano e termina con l’impressione delle stimmate a La Verna.
La croce prima di Francesco. Il Crocifisso di San Damiano è una tavola dipinta, probabilmente, nel secolo XII in Umbria, da un autore ignoto. Cristo si presenta con i lineamenti ben definiti: il volto è leggermente inclinato verso sinistra, gli occhi così grandi e aperti sembrano richiamare l’attenzione di chi lo guarda. Le mani e i piedi non sono contratti da dolore, le braccia sono aperte, leggermente arcuate verso il basso come se dovessero presentarlo: «Ecco il vostro re». Nel capo ha un’aureola d’oro nella quale è incisa una croce greca. È questa l’immagine del Cristo che regna dalla croce. Di opere simili ne abbiamo parecchie, anche nelle Marche: a Numana, a Matelica, a Isola di Fano, ma anche nella raccolta museale della nostra Diocesi.
La croce dopo Francesco. Il Crocifisso di Cimabue, conservato a S. Domenico di Arezzo, è l’opera più antica rimasta del grande artista medievale ed è databile al 1270ca.
Non abbiamo più il Cristo, re dell’universo che domina dall’altro della croce, ma un uomo sofferente. Al posto dell’impassibilità divina delle croci precedenti a S. Francesco, si sostituisce il corpo sofferente del Redentore: il Christus patiens.
Anche Giotto, dietro l’esempio del Cimabue, accoglie e dipinge il Cristo sofferente, privo dell’aura divina, colto nell’istante dell’abbandono della vita. Giotto, però, è più umano, esprime meno tragicità. Anche nelle Marche, a Fabriano, nella chiesa di San Francesco, avevamo un crocifisso del 1200 facilmente della scuola di Giunta Pisano (attualmente proprietà della Fondazione della Cassa di Risparmio di Macerata).
A conclusione, propongo alla riflessione dei lettori il crocifisso conservato a Mombaroccio, nel Santuario del Beato Sante, composto nella prima decade del ’300, attribuito dal critico d’arte ungherese Miklós Boskovits (1935-2011) all’artista catalano Jaume Ferrer Bassa (1285-1348). Il crocifisso di Mombaroccio, pur della prima decade del ’300 e pur nelle diversità, presenta tutte le caratteristiche del Chistus patiens proposto da Cimabue e Giotto.