Nella splendida cornice dell’Oratorio San Giovanni i confratelli e tanti fedeli hanno festeggiato il Santo, partecipando alle celebrazioni eucaristiche, presiedute dall’Arcivescovo e dal parroco del Duomo.
Nella ricorrenza della festività di S. Antonio Abate, detto anche S. Antonio il Grande, Sant’Antonio del Fuoco, Sant’Antonio del Deserto, Sant’Antonio l’Anacoreta, sono state celebrate nell’Oratorio San Giovanni di Urbino, due Sante Messe: la prima al mattino officiata dall’arcivescovo Salvucci, e la seconda alla sera, dal parroco don Giuseppe Tabarini. Anche quest’anno, come da antica usanza, al termine delle celebrazioni eucaristiche è stato distribuito il pane benedetto. Nel tempo questi pani di S. Antonio venivano dati in pasto anche agli animali per preservarli da malattie, oltre alle famiglie dei contadini che li accudivano. I riti che si compiono ogni anno, sono antichi e legati principalmente alla vita rurale e fanno di Antonio Abate, un vero “Santo” del popolo. E’ una devozione molto diffusa nella Chiesa che si rinnova ogni anno, e così avviene anche in tante città, paesi e parrocchie della nostra Arcidiocesi.
Vita eremitica. Antonio abate nasce a Coma, in Egitto nel 251, dove muore a 105 anni. E’ considerato il patriarca di tutti i monaci per la sua lunga vita eremitica e le capacità taumaturgiche. A lui si deve la costituzione in forma permanente di famiglie di monaci che, sotto la guida di un padre spirituale “Abbà”, si consacrarono al servizio di Dio. Già in vita accorrevano da lui, attratti dalla fama di santità, pellegrini, monaci, sacerdoti, vescovi, infermi e bisognosi da tutto l’Oriente. Anche l’imperatore Costantino e i suoi figli, pare, ne cercassero i consigli. Veneratissimo lungo i secoli, il suo nome è fra i più diffusi del cattolicesimo. Lo stesso Sant’Antonio di Padova, proprio per indicare il suo desiderio di maggiore perfezione, scelse di cambiare il nome di battesimo Fernando, con il suo. Nonostante appartenga ad una famiglia agiata, mostra sin da giovane poco interesse per la vita mondana e alla morte dei genitori, distribuisce tutti i suoi beni ai poveri e, affidata la sorella ad una congregazione religiosa, prende la via del deserto, dove comincia la sua vita di penitente, scegliendo di vivere come un eremita. «Certamente Antonio», ha detto mons. Salvucci nell’Omelia, «ha messo in pratica quanto abbiamo letto nel Vangelo, ovvero la richiesta di Gesù al giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!” Antonio ha seguito alla lettera il Maestro, diventando un fulgido esempio di pane spezzato per gli altri».
Sequela. Ben presto quel luogo si popola di monaci, i primi di quella moltitudine di uomini consacrati che, in Oriente e Occidente, portano avanti quel cammino da lui iniziato. Si formano ben presto comunità di eremiti che vivono nelle grotte del deserto. Si tratta delle prime forme di monachesimo. I suoi discepoli tramandarono alla Chiesa la sua sapienza, raccolta in 120 detti e in 20 lettere. Fatta la scelta di vita “ascetica”, trascorre quattro lustri in un’antica tomba, scavata nella roccia, vivendo di solo pane ed acqua, immerso in meditazione e preghiera e lottando contro le tentazioni del Demonio. Nel 311 presta conforto ai cristiani perseguitati dall’Imperatore Massimiliano, ma poco dopo deve tornare ad Alessandria per combattere l’eresia ariana, sempre più diffusa nelle zone orientali dell’impero.