Solitamente la sala d’attesa è un luogo un po’ deprimente, con le poltroncine plasticose, il tavolino con le riviste, e dei quadri che dovrebbero rendere più allegro l’ambiente ma non ci riescono. Già aspettare non è il verbo preferito di noi gente del terzo millennio, che mettiamo la data di scadenza pure sui detersivi e corrediamo gli articoli di internet con l’indicazione dei minuti necessari per la lettura, figuriamoci quanto possa ispirarci l’amenità delle sale d’attesa nei luoghi pubblici. Meno male che c’è il cellulare con cui imbottire quei minuti vuoti.
Eppure l’attesa è la condizione che meglio esprime l’essenza della persona umana. Ci siamo definiti in diversi modi, tra cui homo sapiens e homo faber; l’uomo di adesso è sicuramente uno che si considera in rapporto a quello che fa e guadagna (non sono forse il PIL e lo spread i criteri per dire se le cose vanno bene?). La realtà è che l’uomo produce perché prima di tutto è un essere mancante, e l’attesa è la situazione che lo costringe a ricordarselo. Per questo risulta spesso scomoda.
Ma c’è anche un tipo di attesa che viene chiamato “dolce”: quei 9 mesi di trepidazione e stupore in cui una nuova vita si forma nel corpo di una donna. L’Avvento è proprio come la gravidanza: è un fare spazio in noi a Colui che desidera venire nella nostra storia e rimanerci per sempre. Perciò il modo migliore per vivere questo tempo è guardare alla Donna che ha vissuto l’attesa di Cristo con tutta se stessa, anche nella propria carne, e cercare di mettersi dalla prospettiva di colei che custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore.
La Veglia d’Avvento del Progetto “Un Monastero nella Città”, momento ormai tradizionale qui a Urbino, si concentrerà appunto sulla Madre ed è intitolata In attesa del Figlio. L’appuntamento è per martedì 17 dicembre, alle 21, nella chiesa del monastero di S. Caterina.