Abbiamo appena vissuto un fine settimana molto impegnativo e da tutti sentito, con la solennità di Ognissanti e la commemorazione di tutti i fedeli defunti. In particolare, il 1° novembre si è rinnovata in tutte le chiese la devozione ai santi esponendo alla venerazione le reliquie, che tanto hanno infiammato la cultura e la fede nel medioevo e nell’età moderna, in particolare con Lutero.
A tal proposito, il teologo don Roberto Tagliaferri – che sarà a Mazzaferro il prossimo 22 novembre – in un suo contributo ha lanciato una forte provocazione: “È problematico decifrare il cristianesimo attuale, che si è secolarizzato e ha emarginato il culto delle reliquie in nome della ragione illuministica e della lezione evangelica e che tuttavia soffre per una sorta di anoressia del sacro. L’impressione è che la pulizia del meticciato cultuale legato alle reliquie in nome del Vangelo non abbia dato i risultati sperati. I fedeli vivono una profonda insoddisfazione per una religiosità liofilizzata, senza commistioni sacrali, senza cuore, senza sogni e soprattutto senza sporgenze trascendenti”.
Su questa stessa linea si è posto il 25 ottobre scorso p. Marzio Calletti, cappuccino, originario di Mercatello sul Metauro nonché grande e devoto conoscitore di Santa Veronica Giuliani, invitato dalla parrocchia di Sancta Maria de Cruce in Mazzaferro per una profonda riflessione sul giusto culto delle reliquie. Il Relatore ha sottolineato come, purtroppo, il culto delle reliquie nel corso della storia e nella sensibilità dei fedeli è stato oggetto di storture e derive pericolose: pensiamo al loro commercio (così diffuso nel Medioevo) o alla devozione quasi feticistica (a volte superiore anche a quella dovuta al Santissimo Sacramento). A compensare tale culto disordinato, p. Marzio ha sottolineato che l’importanza delle reliquie per intere comunità ha portato clero e fedeli ad intraprendere anche viaggi avventurosi e perigliosi per avere questi “modelli ed amici” fisicamente vicini a sé. Un esempio fra tutti, quanto la comunità Urbinate nell’XI secolo ha vissuto con il Beato Mainardo, suo vescovo, che ha guidato la “spedizione” a Città di Castello per portare ad Urbino il corpo di colui che sarebbe diventato “celeste patrono” della città, il martire san Crescentino. Quasi ad affermare che dietro una reliquia di un santo c’è un testimone della fede che ha avuto la gioia ed il coraggio di dire con la vita il proprio amore per Cristo.