Giorgio Nonni, docente universitario, ha voluto ricordare la figura del collega Gino Chiappara che ogni anno faceva giungere la sua voce dalla Baia del Silenzio (Sestri Levante), il luogo della nascita e degli ultimi giorni di Carlo Bo, componendo versi per il “Duca dagli occhi di mare”
Si narra che il mare, di notte, faccia paura. Ed è forse per questo, che un istante dopo il tramonto, si accendono i fari con i loro segnali. Queste postazioni luminose sono posizionate di proposito sul limite del mondo di fronte alla distesa equorea e rappresentano un baluardo alle tempeste, un invito a resistere e ad opporci ai marosi del mare e della vita. Ecco, è lì, in quel non-luogo, che un “inossidabile guardiano del faro” come Gino Chiappara sta ancora contemplando da Lassù la fatica del vivere, alimentato dal fuoco di un’urgenza poetica che sgorga dal profondo di un’anima insaporita da una lunga consuetudine scritturale. Ed è il mare, che rappresenta l’indistinto originario, a fornire una speranza: “Che un giorno torni il veliero / con la luce sul bordo / e sia”. La poetica. I poeti, si sa, non muoiono mai. Ricordo che ogni anno, come un segnatempo, Chiappara faceva giungere la sua voce dalla Baia del Silenzio, il luogo che ha segnato la nascita e gli ultimi giorni dell’esistenza terrena di Carlo Bo, componendo versi per ricordare “il Duca dagli occhi di mare”, un “principe” le cui armi erano solo quelle del pensiero. È un ottobre gonfio di acqua, e la Baia del Silenzio, oggi, è davvero muta. E allora ci preme saldare un debito, ripercorrendo quei versi per il conterraneo che ha segnato gran parte del nostro Novecento. “Era il tempo inquieto dei gabbiani, il mare / irato, il cielo frantumato / lasciandoci orfani per un nuovo giorno”. Una poetica che passa per gli affetti, ma che ha conosciuto l’ora dello spaesamento e della lontananza, in una spasmodica ricerca delle radici dell’io: “Dovrò io solo, ormai straniero / custodire nel mio campo di grano / le luci del sole pietrificato?”. Resta quel fascio luminoso che il faro proietta sul mare, simbolo metafisico della luce, che nel Medioevo era stata oggetto di indagine da parte di Bonaventura da Bagnoregio: “Lux, et fiat. Tu l’hai vista la luce salire dai monti / in quel mattinodirugiada”.
L’ultima poesia. E, ancora, l’ispirazione vira verso quel simulacro che ha illuminato la Baia del Silenzio (Sestri Levante) e la Città turrita dell’Anima (Urbino). È l’ultima poesia composta da Gino Chiappara (1924-2015) per il Nuovo Amico: “Il silenzio dell’anima (Per Carlo Bo)” – “Sono rimasti soltanto i poeti / sempre abbandonato su quel treno / e ovunque paesaggi, stazioni e campi / con quel mare turchese alle spalle / mai dileguato dalla mia mente increspata / lanterne e fari e un presagio… / Casuali o sognati i ritorni non sono nulla / o solo un reliquiario di illusioni / c’è un bordo di luce sui monti neri! / Non portate convinzioni ai miei sogni incompleti / non mi portate a conversare su quella tolda di nave / nudi e scalzi per raccogliere un sorso della Via Lattea / come la luna quando alita sulle spore. / Poi nulla, i fari spenti / scompaiono i sogni dell’alba / per il silenzio dell’anima”.