Ci sono luoghi che sanno raccontare un momento fondamentale, decisivo, cruciale della nostra storia e della nostra epoca. Penso alle tante immagini che ci arrivano dalle zone di guerra, ad esempio. Ci raccontano la volontà di distruggere, di annientare, di conquistare; l’incapacità di riconoscere un altro, di dialogare, di risolvere i conflitti. O ai campi di sterminio della Seconda Guerra Mondiale, che urlano l’orrore, l’angoscia, il totale vuoto di ogni briciolo di umanità. Da più di tre mesi vivo in un luogo così.
Banalmente, quello che racconta la Trieste di adesso, con la sua Piazza di fronte alla Stazione, è l’arrivo di tanti migranti, che qui trovano uno dei punti di approdo lungo la Rotta balcanica. Un viaggio di mesi e di anni che parte dall’India, dal Nepal, dal Bangladesh, dal Pakistan, dall’Afghanistan, dall’Iraq, dalla Siria, attraverso Paesi inospitali, che sanno offrire solo vita da clandestini, sfruttamento, respingimenti e, spesso, violenze. Alcuni di questi Paesi sono europei, i più violenti: Grecia, Bulgaria, Croazia. Ecco, visto così, riduciamo il problema ad una questione di gestione del fenomeno migratorio. Ma non è solo questo, è molto di più. Su questo tema si vincono e si perdono elezioni, in Italia come in Europa. Si vincono se si promettono accoglienza zero, blocco dei flussi, vita dura per chi arriva. Si vincono le elezioni. Ma cosa si perde?
Piazza della Libertà a Trieste, che i volontari che qui accolgono le persone migranti hanno ribattezzato “Piazza del Mondo”, racconta due mondi distanti e paralleli.
C’è la città, che viaggia, sfreccia, passa via. La città che fa finta di non vedere. La città che, se butta un occhio, resta infastidita, disgustata, impaurita. La città che “non si può tollerare un degrado così”. La città che “non c’è più decoro”. La città che ha un Sindaco che ha fatto sgomberare e chiudere il Silos, un vecchio magazzino fatiscente in cui trovavano riparo in condizioni subumane le tante persone che non avevano un posto nelle sature strutture statali di accoglienza, perché il Papa non lo vedesse quando è venuto qui a luglio (sì, si diceva che il Papa avrebbe voluto vederlo, il Silos, e incontrare i suoi occupanti). Lo ha fatto sgomberare e non ha nemmeno cercato altre soluzioni, perché lui i migranti non li vede. La città che lascia dormire in Piazza o per strada centinaia di persone, famiglie e bambini compresi, anche se avrebbero diritto, ripeto, avrebbero diritto ad un posto dove dormire, perché hanno presentato richiesta di asilo.
E poi c’è la città che tutte le sere in Piazza alle sette attrezza una panchina come ambulatorio medico e cura ferite ai piedi, alle mani, al corpo, là dove è rimasto il segno della strada percorsa o della violenza subita. La città che offre un pasto caldo, per tanti l’unico della giornata. La città che incontra e si fa incontrare dai ragazzi e tesse relazioni, amicizie. Umanità. Semplice umanità. Questo si perde.
*redazione di Pesaro