La grande esposizione, definita a buon diritto la “mostra dell’anno” non si esaurisce entro le pur splendide mura della Galleria, ma tocca anche alcune chiese della città ducale, quali il Duomo, l’Oratorio della morte e san Francesco
Finalmente dopo 111 anni Federico Barocci ha la sua grande mostra. Il genio urbinate del manierismo e precursore del barocco ha ottenuto nella sua città natale la più grande rassegna monografica che la storia dell’arte gli abbia mai dedicato, dopo cento e undici anni da quando, era stata appena fondata la Galleria Nazionale, il primo direttore promise una esposizione per celebrarlo. E finalmente martedì scorso è stata inaugurata, alla presenza di Massimo Osanna, direttore generale dei musei italiani, che non ha esitato a definirla la ‘mostra dell’anno’. ‘Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna’ è visitabile nelle sale del pianterreno di palazzo ducale fino al 6 ottobre (biglietto 12€ comprensivo del museo), curata da Luigi Gallo, direttore della galleria, e dagli storici dell’arte Anna Maria Ambrosini Massari, Giovanni Russo e Luca Baroni.
Preparazione. Ha detto Luigi Gallo alla presentazione: “Tre anni di lavoro e di studio da parte di noi quattro curatori hanno posto solide basi di ricerca e aggiornamento, che hanno portato anche a un corposo catalogo edito da Electa. Circa 80 opere tutte autografe, tra cui i maggiori capolavori del maestro, prestiti da tutto il mondo: solo per dirne alcuni, New York, Madrid, Parigi, Londra, Firenze”. Ma la mostra che la città natale dedica al suo figlio più illustre dopo il divin Raffaello non si esaurisce nelle sei sale dedicate alle esposizioni temporanee: prosegue al secondo piano del museo, con due stanze in cui trovano posto i dipinti già posseduti dalla galleria, e nelle chiese di Urbino, con appositi totem (Duomo, Oratorio della Morte e San Francesco).
Temi. Ha spiegato Ambrosini Massari: “L’esposizione è divisa per temi, non rigorosamente in ordine temporale, e si apre coi ritratti, in cui spiccano esponenti della casata Della Rovere, i duchi urbinati suoi committenti di una vita. Abbiamo poi le grandi pale d’altare, i dipinti devozionali, la natura, i cartoni e i bozzetti e le ultime opere, dove entriamo pienamente nel Seicento, in un mondo in cui lo sfondo e i personaggi si fondono e si perdono, quasi romantico”. Un concetto emerge con forza, anche ai non esperti in materia: Barocci non è un pittore ‘minore’. “È un artista tutto da riscoprire – conclude Ambrosini – ben noto agli specialisti ma che il pubblico può conoscere per la sua intimità così vicina anche alla sensibilità di oggi”.
Disegni. Non è infatti difficile innamorarsi dello stile di Barocci: colori delicati ma cangianti, personaggi dalle guance di un delicato rossore, animali e cuccioli che sbucano da ogni dove, dai gattini della Madonna della Gatta di Firenze ai colombi della Presentazione della Vergine di Roma. I volti barocceschi, poi, paiono vivi. Rilevante anche la sezione dei disegni: “Raggiunse livelli altissimi – ha detto Luca Baroni – e tra le migliaia di carte da lui prodotte, abbiamo raccolto i migliori, una trentina circa. Chi visita la mostra capirà che fu uno dei più grandi disegnatori di ogni epoca”.