Caro Paolo, sono trascorsi dieci anni dal tuo ritorno alla Casa del Padre.
La tua presenza mi accompagna ogni giorno e mi ha dato la forza e il coraggio di vivere con fiducia e speranza in questi lunghi anni. Penso a te con una tenerezza infinita, per i tanti legami che hai creato nella tua intensa esistenza e per tutto il bene che hai seminato. Vivo nella consapevolezza di aver avuto un grande dono e privilegio nell’averti incontrato, conosciuto e amato.
Penso che la tua essenza si possa sintetizzare in un passo dell’omelia di don Giuseppe Fabbrini al tuo funerale, che citava: “Il tuo assillo era vivere la maturità in Cristo. Vivere l’umanità nella sua bellezza, sotto ogni aspetto, anche del limite e della fragilità, in un cammino di perfezione e santità. Non solo nel tuo servizio, ma anche nelle relazioni e soprattutto come sposo e come padre.” Ecco, io ho visto in te una persona sempre in cammino, in continua ricerca che, attraverso l’impegno, la passione, la fedeltà ad una vocazione, la generosità, il dono di sé, ha potuto realizzare una vita piena. Questa è la santità cui tutti siamo chiamati: una vita orientata alla piena realizzazione umana nel nostro tempo.
In un tuo scritto dei vent’anni, dopo i primi pellegrinaggi a Loreto scrivevi: “Pellegrino è colui che va alle fonti della vita, là dove ha luogo la superiorità del sacro, alle fonti della mia fede. Ecco che cos’è per me un pellegrinaggio. È rispondere ogni volta al perché della vita”. È questo anelito verso l’alto e questa continua ricerca di senso che hanno radicato in te una fede che hai saputo custodire, alimentare e rilanciare anche nei momenti più critici e dolorosi della tua vita e della malattia.
Ti riconosco come sposo e padre amorevole, sempre presente e vicino, autorevole e profondo ma riuscivi ad esprimerti anche con leggerezza e giocosità. Ci sei mancato tanto! Tuttavia, questo vuoto non mi ha lasciata svuotata e passiva, ma si è trasformato in presenza che genera, agisce e crea passione per la vita, gli impegni del quotidiano, gli incontri con le persone e la cura delle relazioni. Il mio cuore è pieno di gratitudine per essere stata riconosciuta, valorizzata, custodita e amata da te.
Negli ultimi mesi mi sono dedicata alla sistemazione del tuo studio. È stato un viaggio in compagnia dei tuoi maestri: Gandhi, M. Luther King, Raoul Follereau, don Milani, don Tonino Bello e tanti altri, fino a quelli che ho imparato ad amare negli ultimi anni, come Etty Hillesum e Dietrich Bonhoeffer. Ho scoperto un mondo molto vasto, dai padri della chiesa ai testi di spiritualità orientale, che mi hanno rivelato ancor più la ricchezza e l’ampiezza della tua formazione umana e spirituale. E i tuoi scritti lo dimostrano.
La tua testimonianza di abbandono fiducioso al Padre e all’azione dello Spirito è una sorgente viva di luce e di pace, eredità sacra per la nostra famiglia e per la comunità tutta. Sarai sempre la mia stella polare, una presenza rinnovata e feconda. Qualcuno cui guardare per poter dire, come nella “Preghiera di un niente” che scrivesti all’età di 17 anni: “Concedimi, o Signore, di essere tuo strumento. Concedimi il dono della sapienza e della carità, perché io possa farmi dono senza limiti”.
Tua moglie Cristina (Pesaro, 23 Maggio 2024)
Paolo Pierucci nasce il 23 novembre 1962 a Osteria Nuova di Montelabbate (Pesaro). Dall’età di nove anni vive a Montecchio dove frequenta la parrocchia, prima sotto la guida di don Roberto Matteini, quindi con don Orlando Bartolucci. A diciannove anni fa la prima esperienza di pellegrinaggio con l’Unitalsi, in quell’occasione a Loreto. Esperienza che risulta fondamentale e formativa nel suo percorso. Nello stesso anno si iscrive alla facoltà di medicina, maturando l’idea di andare ad esercitare la professione di chirurgo in Africa. Ma sarà a Pesaro che troverà la sua Africa, nell’incontro a metà degli anni ’80 con la comunità di Via del Seminario e con don Gianfranco Gaudiano, con cui collabora a stretto contatto, dapprima nel servizio civile, come obiettore di coscienza, poi come operatore. Dal 1990 al 1994 lavora presso la comunità terapeutica di Gradara per il recupero di tossicodipendenti. Nel frattempo, nel 1992, nasce il progetto di Casa S. Giuseppe Moscati, residenza per persone con Aids, di cui è fondatore e anima con don Gaudiano, e responsabile per venti anni. Alla morte di don Gaudiano, nel 1993, Paolo continua a vivere la sua esperienza cristiana nella comunità.
Nel 1997 si sposa con Cristina, anch’essa operatrice a Casa Moscati, da cui ha i figli Giacomo e Sara. Vivono a Pesaro, frequentando la parrocchia di Loreto. Questa condivisione di vita e professionale ha contribuito ad arricchire la loro formazione umana, civile e spirituale. Negli anni successivi, e fino al 2002, è presidente del Cica, il coordinamento italiano delle case alloggio per persone con Aids. Muore il 23 maggio 2014, dopo aver combattuto con coraggio e dignità, per quasi quattro anni, con la malattia.
Infine un’ultima perla: abbiamo ritrovato la versione originale della sua nota “PREGHIERA DI UN NIENTE” scritta quando era poco più che maggiorenne