Francesco d’Assisi è l’autore del «Cantico delle creature» o «Cantico di Frate Sole», la cui composizione è conosciuta come uno dei primi documenti letterari della lingua volgare, datata tra il 1224 e 1226, scritta nel monastero di San Damiano, dimora di Santa chiara e delle sorelle povere.
Francesco da tempo era completamente cieco e la cecità, frammista al dolore delle stimmate, lo aveva completamente debilitato. Nonostante ciò da lui sgorga il cantico più sublime della spiritualità cristiana. un uomo così infermo riesce ad andare oltre la propria fragilità e scoprire la bellezza della natura intravedendo in essa l’infinito amore di Dio verso l’uomo!
Così si esprime Tommaso da Celano: Sarebbe troppo lungo, o addirittura impossibile narrare tutto quello che il glorioso padre Francesco compì e insegnò mentre era in vita. Come descrivere il suo ineffabile amore per le creature di Dio e con quanta dolcezza contemplava in esse la sapienza, la potenza e la bontà del Creatore? Proprio per questo motivo, quando mirava il sole, la luna, le stelle del firmamento, il suo animo si inondava di gaudio. O pietà semplice e semplicità pia! (458,80).
Cantico. Ma veniamo al Cantico delle Creature. Il Poverello inizia a celebrare la grandezza di Dio con tre appellativi: «Altissimu, onnipotente, bon Signore», questi riconoscono e riassumono la lode a Dio in assoluto.
Francesco dopo aver glorificato Dio, passa dal Creatore alle creature, considerate da lui immagini di Dio e si rivolge ad esse considerandole fratelli e sorelle.
Il sole per l’Assisiate è riflesso della luce divina, che illumina la creazione e l’umanità intera. Il Cantico ripropone l’importanza e la grandezza dell’Altissimo, del Sommo Signore, del creatore dell’universo. Il Poverello esalta la bellezza del creato in quanto porta «significatione» di Dio. Molto facilmente Francesco doveva tener presenti le parole dell’apostolo Giovanni: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv. 8,12).
La luna, le stelle, il vento, l’acqua, il fuoco, la madre terra, per Francesco, sono fratelli e sorelle. L’Assisiate rimane meravigliato, «incantato», dinanzi la bellezza del creato, proposto a perenne lode di Dio.
La natura per Francesco è come uno splendido libro con pagine straordinariamente colorate e lucenti, attraverso le quali Dio parla da secoli e nei secoli all’umanità intera. Il Poverello ammirava questo libro, lo sfogliava quotidianamente e lo proponeva, con gioia e costanza, ad ogni uomo.
Appendici. In un secondo tempo sopraggiunsero due strane appendici sollecitate da due diversi eventi ai quali Francesco dette diversa risposta: la compromessa pace e la sensazione – da parte di Francesco – che ormai non era lontano dal termine di sua vita.
Quando Francesco venne a conoscenza del dissidio tra il Podestà e il Vescovo di Assisi, informato su quei fatti incresciosi, rimase sconcertato, quindi si rivolse ai suoi frati dicendo: «Grande vergogna è per noi, servi di Dio, che il Vescovo e il Podestà si odino l’un l’altro, e nessuno si prenda pena di rimetterli in pace e concordia» e poiché la pace, si costruisce sul perdono, fece aggiungere al Cantico: Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
La seconda appendice facilmente dovrebbe risalire a due anni prima della morte del Penitente: Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare.
Francesco passa a lodare Dio per sorella morte. Gli ultimi versetti devono essere stati dettati da Francesco, ormai morente, a qualche frate, con la precisa intenzione che venissero cantati mentre Francesco lasciava questo mondo per salire alla gloria dell’eternità.