“La domandina è lo strumento con cui i detenuti inoltrano le loro richieste alla direzione del carcere per poter avere ciò di cui hanno bisogno ogni giorno: la possibilità di un colloquio, un bene di prima necessità e altre cose di questo genere”. E’ questo uno dei racconti toccanti emersi lunedì 12 dicembre nell’incontro pubblico tenutosi a Cerasa di San Costanzo dal titolo “…ero carcerato e mi siete venuti a trovare…” con P. Desirè, cappellano del carcere di Fossombrone e Chiara, volontaria.
A passo di famiglia. L’iniziativa, promossa dalla parrocchia Divino Amore insieme al gruppo famiglie “A passo di famiglia”, fa seguito al “presepe vivente e parlante” nel cammino di preparazione al Natale ed è stata un’occasione di riflessione e confronto su un mondo spesso lontano da noi, ma che fa parte della nostra società: il carcere. Gesù stesso, nel Vangelo, ci dice che incontrando i carcerati noi incontriamo Lui che si fa vivo e presente negli ultimi.
Inizio. P. Desirè ci ha raccontato: “In carcere si lavora in équipe. Sono arrivato in Italia dal Burundi per curarmi dopo un brutto incidente e poi mi è stato chiesto di rimanere per prestare questo servizio in carcere, tra gli ultimi. All’inizio avevo timore di queste persone, di non essere all’altezza, ma mi è stato detto che per tutti c’è un primo giorno, un inizio e così è stato”. “In carcere – ha sottolineato Chiara – ho incontrato uomini come noi, sensibili, che vivono un dolore grande dovuto alla mancanza di libertà, alla lontananza dagli affetti e alla ristrettezza degli spazi, costretti a dipendere in tutto e per tutto da altri. I reati compiuti pesano su di loro come macigni e sono la loro prima condanna”. Per entrare in carcere occorre mettere da parte i pregiudizi per poter incontrare le persone bisognose di ascolto, di incontro, di speranza, di un sorriso; occorre riconoscere in queste persone l’insopprimibile dignità dell’uomo e il volto di Gesù.
Perdono. “Il Natale in carcere è davvero un momento difficile e duro. Si sente di più la mancanza degli affetti. E’ anche occasione di un lavoro interiore verso la rielaborazione del perdono quale chiave di cambiamento e di rinascita tale da troncare ogni legame con la rete del male e con i sentimenti di rabbia verso se stessi e verso il mondo intero al fine di ricreare una situazione di pace. Chiediamoci – ha terminato P. Desirè – perché queste persone sono finite in carcere. Forse non hanno preso sul serio la loro esistenza, non hanno dato il giusto valore alla vita, non hanno ascoltato la voce di chi voleva loro bene, non hanno saputo fare scelte corrispondenti. Di fronte a questi rischi non dobbiamo e non possiamo far finta di nulla, non possiamo essere schiavi dell’Io, ma liberi di ascoltare Dio che ci parla attraverso la sua Parola”.
A conclusione dell’incontro don Stefano Maltempi, parroco di Cerasa e San Costanzo, rivolgendosi ai tanti giovani presenti e alle famiglie ha voluto ricordare come di fronte a tante “mancanze dello Stato”, dobbiamo, da cristiani, saper amare e spenderci gratuitamente per l’altro sull’esempio di Maria.