“Un cristianesimo che non mette al centro l’amicizia fra le persone non coincide con l’insegnamento di Cristo: egli ha scelto dodici apostoli, dodici amici con cui condividere la vita”. Con queste parole Don Alberto Rovagnati ha iniziato il suo intervento nella Chiesa di San Francesco di Urbino sabato 21 ottobre alla presenza di giovani e famiglie. L’incontro è stato organizzato dalla Casa universitari San Damiano in collaborazione con la Fuci di Urbino.
«La proposta cristiana è per la felicità della persona in ogni momento della sua vita dall’infanzia alla vita adulta. Gesù parla della vita eterna, della felicità nella parabola del Buon Samaritano in cui mostra una visione realistica perché la vita è dura e non è una favola, infatti si parla di un uomo malmenato dai briganti. Il male che commettiamo ha un peso nel tempo e nello spazio e compromette la vita di chi è intorno a noi, perché siamo tutti collegati l’uno con l’altro. Se non decidiamo di andare verso l’alto la vita ci porta verso il basso. Nella parabola sono presenti un sacerdote ed un levita e quando vedono l’uomo steso a terra passano dall’altra parte, ciò significa che non è compito della legge o della religione piegarsi su di noi ma di una persona. La prima forma di carità è lo sguardo, qualcuno che si accorge del tuo disagio e non ne ha paura: il Samaritano vede il malcapitato e ne ha compassione. Ci vuole uno sguardo che porti all’azione e metta le mani in pasta, come succede nella parabola. Colui che si china sull’altro, è una persona che ha una storia, un suo carattere. Tuttavia anche il Samaritano da solo non basta: egli porta l’uomo alla locanda. La Chiesa è questa locanda dove esistono circuiti di relazione virtuosi per mezzo della Grazia che Cristo dona e che rispondono al bisogno delle persone. Siamo chiamati ad essere il Buon Samaritano per andare per le strade del mondo o nei posti della quotidianità per portare dentro la condizione umana il segreto di questa felicità che è Cristo».
Al termine del suo intervento ha preso la parola Francesco, uno dei ragazzi della Fraternità che ha fatto la sua testimonianza di vita cambiata da un incontro con alcune suore che lo hanno invitato ad un ritiro in cui, dopo un primo momento di sconcerto, si è palesata la presenza di Dio e la felicità si è fatta strada nel suo cuore sostando davanti al Tabernacolo. Tornato a casa si è ritrovato solo perché non aveva amici con cui condividere quello che aveva sperimentato e che lo aveva cambiato, finché ha incontrato Don Alberto e la sua comunità. Ha così compreso che non poteva vivere la fede da solo, se non voleva perdere questo dono; per cui si è legato a questa compagnia che gli permette di sentirsi a casa.