E’ ripartito, dopo la pandemia, il Progetto più che ventennale delle monache agostiniane che nel primo incontro ha avuto come tema: “Ecco, vorrei sapere l’effetto che fa il sentirsi amati solo per il fatto di esistere e non doverselo sempre inventare” .
Alzi la mano chi vuole sentirsi amato. Tutti, vero? Ma siamo sicuri di sapere che cosa intendiamo con le parole sentirsi amato e amore? Nonostante l’amore sia l’argomento di quasi tutte le canzoni pop, l’ingrediente irrinunciabile in moltissimi film, il soprannome affettuoso che diamo pure ai cagnolini, ciò che ci fa respirare… dobbiamo ammettere che non siamo abbastanza “imparati” in materia.
Il tema. Per il primo incontro del progetto “Un Monastero nella Città” dopo la pandemia, abbiamo scelto proprio questo argomento così vasto e vitale, e come titolo uno stralcio della poesia che apre Il Cantico di Tommaso: Ecco, vorrei sapere l’effetto che fa il sentirsi amati solo per il fatto di esistere e non doverselo sempre inventare… Non una qualunque frase da Bacio Perugina, ma una sintesi efficace e pregnante della realtà da noi chiamata “amore”. Infatti domenica 22 ottobre, nella Sala S. Rita del monastero, si sono presentati giovani e adulti, vecchi amici e volti nuovi, a dimostrazione che il tema aveva intercettato un bisogno universale e sempre urgente. Il pomeriggio si è aperto con l’analisi dei vari segmenti della poesia, per passare alla parte più tecnica, ovvero la spiegazione dal punto di vista psicologico di che cosa siano i bisogni e i valori, che cosa significhi “fare esperienza” e come arrivare al “pensare affettuoso” (alias la sapienza del cuore cristiana), le idee distorte sull’amore, i tentativi sbagliati di superare l’isolamento e l’autostima, che sarà l’argomento del prossimo incontro… Insomma, sono stati sfiorati quasi tutti i tasti di questo pianoforte. La conclusione, forse, è stata un po’ distante dalla nostra concezione di amore, secondo cui esso consiste appunto nel sentirsi amati, idea errata che ci porta a sprecare una quantità immane di energie per renderci amabili. Sentirsi amati è invece solo la base dato che, come cantava Dante, chi è amato non può non ricambiare l’amore ricevuto. E amare significa dare, cioè un sentimento attivo. Soprattutto, amare è rendere l’altro amante a sua volta. Così come ha fatto Cristo con noi.
La veglia. Dalla teoria siamo passati poi all’esperienza, dapprima con una buona cena in compagnia fra i laici e infine con la veglia nella cappellina del monastero insieme a tutta la Comunità. Il momento di preghiera si svolgeva seguendo un racconto culminato nel gesto, il quale caratterizza tutte le nostre veglie, come a vivere con tutti se stessi – compreso il corpo – la preghiera.
Dunque, ognuno di noi ha deposto in un cesto davanti all’altare il coccio di un vaso rotto all’inizio – simbolo di offerta della nostra fragilità al Signore – e lo ha scambiato con una particola deposta in una patena. Durante la Messa del giorno dopo queste ostie sono state consacrate, per unire così la nostra umanità a Cristo. Come è sempre avvenuto negli incontri passati, il sacerdote durante l’omelia ha ripreso gli argomenti del giorno prima… ed anche stavolta pur non sapendo nulla dei contenuti trattati durante l’incontro. E questo ci piace. Il prossimo incontro è in programma per domenica 3 dicembre dal titolo “… perché nel tuo infinito amore per me io sono perfetto”. Si tratterà nuovamente di un’esperienza a tutto tondo, con momenti di lezione e acquisizione di competenze, condivisione e preghiera secondo lo stile del progetto “Un Monastero nella Città”.