Una telefonata serale dei vicini che mi avvisano allarmati di un’ombra sotto alle finestre. Un giro di perlustrazione con una torcia e un po’ di tensione, quasi come nei film. All’inizio nulla di strano. Solo nell’ultima stanza trovo quell’“ombra” che non avendo rimediato nulla da rubacchiare, si era appisolata su un materasso. Al mio arrivo si alza in piedi. Sa di aver sbagliato, è rassegnato al fatto che avrei chiamato i Carabinieri. I Carabinieri? E perché mai? Lo invito piuttosto a scendere in cucina e ceniamo insieme. Ho conosciuto così Antonio.
Antonio. Era un senza tetto che viaggiava senza meta e senza biglietto sui regionali della costa adriatica per tutto l’anno, fermandosi occasionalmente qua e là. Nel tempo, si era fatto l’abitudine di venirmi a trovare e stare da me per qualche giorno nella settimana del suo compleanno, ‘il 10/’12. Non so quante foto ho di 10/’12 con lui, me e il diacono a soffiare candeline su una torta. Una volta ero riuscito a trovargli posto in una comunità protetta, dove potesse essere accudito, curato e col tempo magari tolto dalla strada. Fuggì dopo pochi giorni. Che delusione! Col tempo ho capito che dovevo semplicemente accompagnarlo così com’era senza la pretesa di cambiarlo, ma semplicemente facendogli sentire la mia amicizia. Ho anche rinunciato a fargli le prediche, che per un prete non è poca cosa! I genitori di Antonio si erano separati quando lui era piccolo e ognuno di loro si era rifatto una famiglia, lasciandolo solo. Non ha mai superato il dolore dell’abbandono. Col diacono, un po’ alla volta avevamo tentato di curare le sue ferite, e cercato di portarlo ad una riconciliazione con suo padre. Non ci riuscì: Antonio morì prima di incontrarlo. Al suo funerale, il diacono cercò il padre “Lei è il padre di Antonio?”, “Sì”. Allora gli si presentò, gli raccontò di noi, dei tanti ‘dieci/dodici’ passati insieme, della vita di Antonio, e poi concluse: “Mi permetta di portarle il gesto che Antonio non è riuscito a fare”. E abbracciò quel padre.
Scout. Con questa testimonianza l’arcivescovo di Pesaro, don Sandro Salvucci va dritto al cuore del servizio svolto dall’Unità di Strada della Croce Rossa di Pesaro, con la partecipazione dei Rover e delle Scolte AGESCI di Pesaro e Fano. Una sinergia partita 2 anni fa in cui i volontari di Croce Rossa e gli Scout girano la città per 3 sere a settimana per incontrare chi affronta la notte in strada, portando generi di conforto, ma soprattutto una presenza amica. Oltre 50 scout direttamente coinvolti ogni anno. Ognuno di loro capisce subito che abitare il margine, la periferia, ci obbliga a cambiare il nostro sguardo, che qui le priorità si ribaltano e si impara a dare la giusta dimensione alle cose. Dopo il suo primo turno Sofia Terenzi racconta: “É un’esperienza molto bella. Mi sono accorta come per queste persone la cosa più importante sia la relazione, fondamentale tanto quanto i beni di prima necessità. Si vede proprio la gioia negli occhi quando ci si ferma a parlare un po’ con loro.”
Arcivescovo. Le fa eco Luca Briganti: “L’obbiettivo non è tanto togliere le persone dalla strada o portare cibo, quanto instaurare un rapporto e una camera di dialogo. Il più grande dolore di queste persone è la mancanza di relazioni e l’Unità di Strada con il pretesto del pasto, riesce a creare un legame.” Andrea Lugli, Capo Clan, conferma: “La proposta di servizio con l’unità di strada è stata accolta dai ragazzi con entusiasmo e curiosità. Aprire gli occhi su realtà e persone spesso ignorate, li ha portati a riflettere su quante cose si danno per scontate. Soprattutto l’incontro con un loro coetaneo li ha davvero colpiti.” Questa sera al seguito della Croce Rossa siamo in 5: un Rover, una Scolta, due Capi e un Vescovo che ci aiuta a caricare scatole di scarpe e viveri da distribuire. Al Curvone il primo incontro con chi vive per strada. Come con Antonio non ci sono pretese, ruoli, o etichette. Solo ascolto e pacche sulle spalle. “Ciao, mi chiamo Sandro…”