Per raccontare la nostra esperienza di famiglia in missione, devo fare un passo indietro e tornare alla mia origine. Non vengo da una famiglia religiosa, ma da una comune famiglia benestante, dove per Dio non c’era posto. Frequentando le scuole dalle suore si è aperta una “porticina” nel mio cuore, poi l’Azione Cattolica e la parrocchia. Ma il desiderio di affondare di più le mie radici in una cristianità più profonda, ha trovato nell’oratorio Don Bosco il modo di concretizzarsi. Stare coi ragazzi, cercando di educarli, parlargli di Dio attraverso gesti concreti e aiutare i più poveri è ciò che mi ha fatto innamorare di una vita tutta spesa per gli altri. Io e mio marito Sandro ci siamo conosciuti in oratorio ed è venuto naturale sognare una famiglia dove questi ingredienti erano alla base. Il nostro parroco ci disse: “vi sposate in tre!”. Dio infatti è al centro di tutto. Così siamo andati a vivere in parrocchia senza preoccuparci troppo delle cose pratiche proprio come dice il Vangelo. Quindi l’incontro con padre Alessandro Facchini, nostra guida e confessore, che ci ha chiesto un passo in più: da Lugo di Ravenna siamo venuti a Pesaro, con due figli, lasciando le nostre sicurezze. Dopo qualche anno la chiamata in missione con la paura di portare con noi tre figli (nel frattempo era nata Anna) e quindi la fatica di dover decidere anche per loro. Destinazione Combayo, un paesino sperduto a 3000 metri sulla Cordigliera Blu del Perù, senza niente o quasi. Che paura! “Incoscienti, disgraziati, egoisti”: queste le parole della gente e delle nostre famiglie che cercavano di farci desistere dal partire. Ma il Signore ci ha dato una grande forza e la serenità in fondo al cuore. Nel 2009 siamo arrivati a Combayo dove c’era solo la casa e tutto da inventare. Abbiamo accolto con noi una ventina tra i ragazzi più poveri e abbiamo avviato una scuola di falegnameria e mosaico. Oltre all’istruzione cercavamo di trasmettere loro un’educazione cristiana. Se guardo indietro sono stati 5 anni meravigliosi, dove abbiamo fatto esperienza di un Dio buono, che non abbandona e che non fa mancare nulla. Con allegria abbiamo superato momenti critici come la mancanza temporanea di luce, acqua, e le piogge torrenziali. Dietro i volti della paura della gente, spesso scomodi, sporchi, diffidenti, disonesti, abbiamo cercato di intravedere Gesù che chiedeva di essere amato. I poveri ci hanno concesso di entrare nelle loro vite e di imparare da loro la semplicità e la precarietà per spogliarci di tante cose superflue. Davamo lavoro ogni giorno a più di 15 operai e una trentina di donne che lavoravano all’uncinetto in cambio di viveri; poi abbiamo iniziato l’oratorio con circa 150 ragazzi. Il sabato si aiutavano i più poveri e la domenica la celebrazione liturgica. Non essendoci niente in paese siamo diventati anche un riferimento sanitario, organizzando consulti con medici e viaggi all’ospedale. In tutto questo i nostri figli hanno vissuto una grande semplicità, godendo del silenzio, della natura, dei giochi fatti con una biglia, un sasso, una foglia. Camminavano ogni giorno 40 minuti per raggiungere la scuola, ma non si sono mai lamentati. La fatica che hanno fatto li ha fatti crescere. Dal 2014 siamo tornati a Pesaro, conservando nel nostro cuore i volti vissuti e la promessa di non dimenticare e continuare ad aiutare da qua per condividere ciò che abbiamo ricevuto il dono senza meritarlo.