È in via di ultimazione, dopo molti anni di lavoro, il grandioso e difficile recupero dell’enorme palazzo Scattolari in via Petrucci, angolo via Bonamini, su progetto dello studio degli architetti Attilio Magi e Alessandro Boccarossa.
Restauro. L’edificio era inagibile soprattutto a causa dei disastrosi bombardamenti del 1944, che hanno distrutto gran parte dell’isolato fino a via Mazza (oggi palazzo Aymonino e altri). Un restauro complicato, anche perché complessa è la pianta e lunga la sua cronologia che attraversa quattro secoli, dal Seicento ad oggi, e che Roberta Martufi ha ricostruito in un esauriente articolo del 2010 (Pesaro città e contà, n. 28). Negli ultimi decenni, dinanzi allo stato di estremo degrado e di rovina del palazzo, si vociferava della bellezza dei tanti soffitti affrescati, oltre che della sontuosità delle parti architettoniche e dello spazio dei giardini. Ma prima di affrontare il tema di uno dei soffitti di cui posso allegare la foto, devo chiarire brevemente la storia delle committenze e delle proprietà che ci interessano.
Committenza. Il proprietario del palazzo alla fine del Settecento era Vincenzo Giordani (1744-1801) sacerdote, abate domenicano, amato nipote ed esecutore testamentario di Annibale degli Abati Olivieri Giordani, uno dei protagonisti di quel secolo a Pesaro. Vincenzo possedeva come casa di campagna la villa Guerrini detta anche “Le limonaie” a Muraglia, e risiedeva in città appunto in palazzo Scattolari, che fu da lui ampliato nelle parti strutturali e in quelle decorative, ricorrendo ad allievi di Giannandrea Lazzarini. È il caso di Pietro Lonzi detto il fanese (Fano 1760 ca-1801), protetto da Vincenzo Giordani presso cui abitò e dipinse per vari anni, e che alla morte del mecenate cadde in miseria e morì a meno di quarant’anni.
Simbologia. Tra i soffitti da lui dipinti, alcuni piacevolmente decorativi altri più impegnati, spicca questo tema biblico: “La danza degli ebrei, capeggiati dal sommo sacerdote Aronne, davanti al vitello d’oro” (Esodo 32, 4). L’episodio richiama il periodo in cui Mosè, raffigurato in alto a sinistra, era impegnato sul monte Sinai a ricevere le tavole della legge e gli ebrei si spazientivano per la sua assenza, così il sommo sacerdote Aronne pensò di distrarli con la danza davanti alla statua del vitello d’oro. La scena è vasta e movimentata, con la spaziosità dell’accampamento dotato di tende che andava visto da sotto in su, accanto ad altre fasce affrescate forse ancora conservate. Un insieme molto lazzariniano, che può ricordare gli affreschi in palazzo Olivieri, oggi Conservatorio musicale, di proprietà di Annibale, zio dell’abate Vincenzo Giordani.
Stile. Pietro Lonzi sembra più vivace e trasandato rispetto al suo maestro Lazzarini, mostra una teatralità scomposta nella danza degli ebrei in attesa del ritorno di Mosè, e per noi è comunque una nuova conoscenza nel già noto e vasto panorama del Settecento pesarese, dominato dagli allievi del Lazzarini. Il recupero di Palazzo Scattolari in nuove unità abitative conclude oggi finalmente la lunga storia dell’abitazione di Vincenzo Giordani, che ha subito vari passaggi di proprietà finché nel 1890 fu acquistato dall’avv. Guglielmo Scattolari. Fu poi ceduto nel 1942 all’Amministrazione provinciale pesarese che aveva un progetto di riuso poi non realizzato, ma lentamente e inesorabilmente è avanzato il degrado dei piani superiori, mentre al pianterreno sono stati utilizzati spazi per officine e laboratori. Negli ultimi anni il palazzo è di proprietà della ditta Tecnoedil s.r.l. che ha compiuto la ristrutturazione. Tornando a Vincenzo Giordani, va detto che la sua figura era quella di un intellettuale non solo mecenate ma anche collezionista, come risulta dalle sue raccolte che comprendevano anche cinque opere di un altro più importante allievo del Lazzarini, quel Pietro Tedeschi di cui Giovanna Patrignani documenta anche i quadri posseduti da Giordani nel fondamentale volume edito nel 2020.
* Critico d’arte