Intervista
A CURA DI PAOLA CAMPANINI
Sta per iniziare l’attività estiva di 21 dei 24 oratori presenti nella nostra arcidiocesi, che, a partire dal 6 giugno, coinvolgeranno, come fruitori, circa 4000 ragazzi delle scuole primarie e secondarie di I grado e, come educatori o animatori, 1500 giovani. Una realtà imponente, che tutti gli anni, prima della pandemia, si ritrovava a fare festa al Parco Miralfiore per la tradizionale Giornata di “Oratorinsieme”. Per motivi prudenziali, anche quest’anno la Giornata è stata sospesa dall’apposito Ufficio diocesano guidato da don Giuseppe Fabbrini, che tuttavia ha deciso di organizzare – lo scorso venerdì 3 giugno, alle ore 19.00, nel campo da calcio della Parrocchia di Loreto – un incontro degli educatori e degli animatori con il nuovo Arcivescovo Sandro Salvucci, per presentargli il tema e le attività dell’estate incipiente.
Don Giuseppe, gli oratori sono fioriti nella nostra arcidiocesi, che pure non aveva mai avuto una tradizione in questo senso. Come è accaduto?
L’impulso è stato dato, quattordici anni fa, da mons. Piero Coccia, il quale è stato come un tessitore, perché ci ha invitati, innanzitutto, a prendere coscienza di questa realtà e del suo valore educativo; poi ha istituito l’Ufficio Pastorale Oratori, spronando i responsabili a coinvolgere gradualmente le parrocchie più sensibili, puntando sempre sulla formazione.
Chi sono gli educatori e gli animatori?
È necessario formare delle équipe educative costituite da un educatore esperto, un buon animatore e un aiuto animatore più giovane. Già dalla terza media, chi ha fatto l’esperienza dell’oratorio e ha avuto un’opportuna formazione di base può cominciare ad essere aiuto animatore, perché noi crediamo nel valore della “restituzione”: quanto ho acquisito lo dono. Questo passaggio, almeno nelle parrocchie più strutturate, è naturale. Va sottolineato che l’oratorio è il luogo specifico dei giovani. Gli adulti ci sono e rappresentano, con la loro esperienza, un punto di riferimento, una sicurezza. Ma essi sono al servizio dei giovani e quindi li devono ascoltare e lasciare liberi, anche quando scombinano schemi preconfezionati. Se gli adulti sono troppo invadenti, l’oratorio non parte.
Quali attività si svolgono in oratorio?
Lo stile dell’oratorio è l’animazione e quindi si tratta di “dare anima”, cioè valore educativo, a tutto ciò che fa interagire i suoi fruitori. Può essere un gioco, un laboratorio, un’espressione artistica (teatro, canto, danza, musica ecc.), però tutto deve avere un significato. Papa Francesco, nel messaggio inviatoci per i 10 anni di “Oratorinsieme”, ha definito l’oratorio “scuola e palestra di vita”. E l’oratorio lo è, soprattutto dal punto di vista relazionale, ripercuotendosi positivamente sulla vita di ogni giorno.
Si sa che, terminato il percorso dell’iniziazione cristiana, molti ragazzi abbandonano la parrocchia. L’oratorio può essere una proposta? Che rapporto c’è tra catechismo e oratorio?
L’ideale sarebbe che i catechisti dilatassero la loro esperienza a quella dell’oratorio. Il catechismo è la via privilegiata per introdurre i bambini e i ragazzi alla fede e l’oratorio permetterebbe loro di fare esperienza di quanto apprendono. Il catechismo perderebbe così la sua impostazione “scolastica” per assumerne una più esperienziale e attrattiva.
L’oratorio, per sua natura, ha anche un valore inclusivo, di valorizzazione delle differenze. Qual è la vostra esperienza?
Nel nostro oratorio accogliamo ragazzi con disabilità con un duplice scopo. Innanzitutto che la cosiddetta “normalità” impari a valorizzare la ricchezza dell’alterità: abbiamo avuto, ad esempio, un cieco che ha insegnato il metodo Braille e un sordo che ha insegnato il linguaggio dei segni. L’altro scopo è che anche i ragazzi con disabilità, abituati a lavorare in équipe, diventino animatori e aiuto educatori.
Vivendo un rapporto stretto con i giovani, come appaiono i giudizi spesso tanto negativi che circolano nelle analisi sociologiche?
Molto parziali. In realtà i giovani sono creativi, fantasiosi e soprattutto disponibili, perché hanno bisogno di sentirsi utili, valorizzati e di dare senso e prospettiva alla loro vita. Hanno bisogno di proposte educative forti.