Con i numeri si gioca e basta cambiare qualche parametro o eliminarne qualcun altro che alla fine, arriveremo a dire, che “tutto nero proprio non è”.
È indubbio però che la diocesi di Fano ha attualmente 64 preti (7 in casa di riposo) con un’età media di 68,8 anni. Io sono uno di loro.
Presbiteri. Straordinari uomini: 3 tra i 30 e i 39 anni; 4 tra i 40 e i 49 anni; 7 tra i 50 e i 59 anni; 14 tra i 60 e i 69 anni; 15 tra i 70 e i 79 anni; 15 tra gli 80 e gli 89 anni; 5 con oltre 90 anni.
A questi mancano i religiosi, cioè coloro che pur essendo preti appartengono a un Ordine religioso o a una Congregazione: per la nostra diocesi gli Agostiniani, i Francescani, i Carmelitani, gli Apostoli del buon pastore. Va detto che nella nostra diocesi le parrocchie sono attualmente 53 e già da tempo non tutti i 23 comuni presenti in diocesi hanno un parroco residente. Teniamo conto poi che l’essere prete non coincide necessariamente con il ministero di parroco e chi non lo è non rappresenta un prete di serie B.
Confronto. Davanti a queste e altre considerazioni che noi preti conosciamo bene sento il bisogno di aprire un confronto con tutti, anche con i non credenti, visto che tutti quando qualcosa cambia, vedi un vescovo in una diocesi o un parroco in una parrocchia si appellano alla tradizione considerando sempre il cambiamento come qualcosa di ingiusto e ingiustificabile (strano che questo non valga per gli elettrodomestici, per l’etica ecc.)
In tutto questo come prete mi sento paragonato a un caffè o un aperitivo! Mi spiego. Quando stabilmente andiamo in un bar e conosciamo ormai da tempo il barista entrando diciamo “il solito” e subito ci viene dato quello che da anni chiediamo.
“Il solito”. Il prete è “il solito” non rendendoci conto che il sottoscritto, che da 36 anni è prete, fa una gran fatica ad essere “il solito”. La vita personale, le esperienze fatte, il mondo che cambia velocemente se da una parte mi spingono a “rimanere” unito a Gesù per poter “andare” incontro alla gente, dall’altro mi fa fare i conti con i miei fratelli preti: siamo sempre meno e non tutti riusciamo a mantenere uno sguardo di fiducia e speranza sulla realtà perché alcuni si sono proprio chiusi e irrigiditi nei loro regni fatti di luoghi e di idee e i “pochi” anni di vita che gli restano vengono strenuamente impiegati a confermare il “si è sempre fatto così” e non fanno fatica a trovare chi ha le stesse idee anche se prete non è.
Domande. E la domanda sorge forte e spontanea: può un qualunque organismo riformarsi da solo senza lasciarsi guardare e interrogare? Possiamo noi preti da soli conoscere la malattia e avere in mano la medicina? Non siamo anche noi come i bambini che piangono perché hanno il mal di pancia ma come vedono il camice bianco del medico piangono più forte ancora e non ascoltano le sue indicazioni? Avere coraggio, sperimentare nuove vie che passano attraverso la vita comune, la preghiera, la relazione, l’ascolto, lo studio. La fraternità non è solo qualcosa di un momento ma è lo stile di ogni presbiterio. Ne parliamo e ne parliamo ma abbiamo sempre altro nel cuore, abbiamo sempre vie di fuga. Siamo rassegnati e poco gioiosi! Numeri alla mano – e voglio essere ottimista – la nostra diocesi, pensando “al solito”, ha 7 anni di vita visto che l’età media di noi preti è di 68,81 e visto che dobbiamo andare in pensione a 75 anni (?).
In questo tempo possiamo continuare a rispondere a questa crisi andando a cercare preti a destra e a manca (e magari li troviamo anche bravi) oppure possiamo realmente metterci in ascolto e lasciarci convertire dai segni dei tempi perché “il solito” in questa Chiesa non si serve più!