Quaranta anni moriva il prete della gente che durante la guerra fu partigiano e tra i fondatori del Comitato di Liberazione di Urbino.
A settembre ricorreranno 40 anni da quando don Gino Ceccarini ha abbandonato la vita terrena per le beatitudini dell’Eden. La perdita lasciò il segno nella cittadinanza dove l’ex parroco di San Sergio era ben voluto da tutti per quella innata generosità che lo portava a impegnarsi per chiunque si rivolgesse a lui per risolvere problemi familiari. Per lui il prossimo era l’essenza della vita senza distinzioni politiche e sociali.
Carlo Bo. “Non ha mai lasciato cadere una richiesta di aiuto, una invocazione” testimoniò Carlo Bo, rettore dell’ateneo, all’indomani della sua dipartite; “E’ qui che la sua vera natura si manifestava, nel non fare domande di nessun genere”. Chi bussava alla sua porta trovava sempre comprensione, “anche quando la situazione poteva risultare disperata o dubbia”. “Non aveva pace – evidenziava Bo – fino a che i suoi desideri non fossero stati esauditi. Non so chi gli sarà più riconoscente nella stanza segreta del cuore, ma è certo che i segni non sopportano la cancellazione assoluta né l’oblio totale. Pensare agli altri, parlare degli altri, don Gino non ha mai smesso di farlo fino a quando la salute glielo ha consentito”.
Parrocchiani. Per don Gino il primato del bene era lo scopo della vita, per indole, per sensibilità, per creare gioia in chi, per stenti, non aveva confidenza con il termine. “Cercate di non dimenticare mai – disse ai parrocchiani nel giorno del suo distacco dalla reggenza di San Sergio, che detenne per 28 anni dal 1934 alla Pasqua del 1962 -, nel pensiero e nei fatti, che al mondo c’è solo una cosa che ha valore assoluto: la ‘bontà’. Anche se è più facile capirlo, desiderarlo, che farlo”.
Fontana. docente e consigliere comunale della Dc, Walter Fontana, amava dire che “don Gino si entusiasmava come un fanciullo di fronte alla vittoria del bene, allo splendore della bontà e alla luce del bello. Coerente nel pensare e nel fare ci insegnò, a mettere in pratica le principali verità della fede cristiana”.
Mancini. “A noi suoi discepoli – ricordava don Italo Mancini, docente universitario – ci insegnò la scelta dei poveri, la politicità della vita e di ogni gesto umano, la noncuranza del potere, il rigore dell’analisi”. Tre mesi dopo la morte si poteva leggere nel bollettino diocesano: “Tutta la vita urbinate, non solo ecclesiastica ma anche civile, sentì l’apporto costruttivo e stimolante della sua personalità”. Don Gino amava visceralmente Urbino, e si impegnò nelle battaglie civili in difesa degli interessi e delle istituzioni cittadine.
Guerra. Nel periodo bellico protesse gli ebrei e gli antifascisti e, a guerra finita, anche gli ex fascisti, per mitigare le vendette, per sostenere le famiglie degli epurati. Fu partigiano e tra i fondatori del Comitato di Liberazione di Urbino. Giuseppe Branca, rettore dell’università dal 1944 al 1947 e presidente della Corte Costituzionale dal 1969 al 1971, eletto senatore nella Sinistra Indipendente, ne celebrò così le doti: “Era profondamente cattolico e sacerdote, eppure noi lo ritenevamo uno dei nostri: un esempio di come religione e laicità possono conciliarsi e convivere”. Confidiamo che il prossimo anniversario verrà degnamente celebrato.