È deceduto lo scorso 12 marzo all’età di 73 anni il teologo don Giorgio Mazzanti. Scrittore e poeta, è stato insegnante di teologia sacramentaria alla Pontificia Università Urbaniana di Roma, docente alla Facoltà teologica dell’Italia centrale e all’Istituto superiore di scienze religiose della Toscana. Da tempo era affetto da sclerosi laterale amiotrofica che lo aveva privato dell’uso della parola non impedendogli tuttavia di proseguire il suo servizio pastorale in feconda e silenziosa eloquenza fino all’ultimo giorno di vita. Le esequie sono state presiedute dall’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori, nello spazio esterno della pieve di Sant’Alessandro a Giogoli, dove don Mazzanti era priore dal 1987. «Un sacerdote che ha offerto una generosa e totale dedizione nel servizio all’intelligenza della fede, nell’animazione della vita comunitaria e nella testimonianza della Croce», ha detto Betori nell’omelia. Don Giorgio Mazzanti era nato nel 1948 a Pesaro dove era stato ordinato sacerdote nel 1973 e dove aveva svolto gli incarichi sacerdotali nelle parrocchie del Duomo, Soria, San Giuseppe e Fanano. Negli anni la pieve di Giogoli è divenuta un punto di riferimento spirituale per migliaia di persone e per gruppi di famiglie nati in tutt’Italia intorno alle sue riflessioni. Appena il giorno prima della sua morte l’Università Urbaniana ha voluto onorarlo dedicandogli l’Atto accademico. Un’intera giornata di studi sui suoi scritti con particolare riferimento alla “teologia nuziale”. Un gesto di stima che don Giorgio ha contraccambiato con le ultime parole che oggi riassumono il suo insegnamento: «Tutta la storia biblica dalla Genesi alla Apocalisse può essere letta in chiave nuziale. Questo si verifica anche nelle molteplici altre religioni. Insieme si può realizzare il sogno di Dio: essere tutto in tutti. Una fratellanza universale che sboccia e matura fino a comprendere che si è tutti chiamati e destinati alle nozze con Dio».
Roberto Mazzoli
Bussate e vi sarà aperto
Un giorno di quarantacinque anni fa, le nostre strade si incrociarono con quella di Don Giorgio Mazzanti. Era per un incontro in preparazione al matrimonio, nella sala di San Terenzio della parrocchia del Duomo di Pesaro. Da quel momento Giorgio ha bussato sempre più insistentemente alla porta della nostra casa e ci ha costretto ad aprire a chiunque bussasse.
Sono tanti i momenti vissuti insieme, quante serate in giro ad incontrare coppie di giovani fidanzati, concluse spesso davanti un boccale di birra ed un taglio di pizza, preludio di quella Teologia Nuziale tanto cara che ha segnato lo scorrere impetuoso della vita di Don Giorgio.
Sei stato vicino nelle difficoltà, quando un giorno alla fine di un gennaio tribolato, mi hai portato letteralmente a Bologna (hai detto ti accompagno io), come se fosse un ultimo viaggio, fino alla porta di una stanza d’ospedale.
Quante discussioni, Giorgio non ha mai avuto un carattere facile…, eppure è sempre scattata la fiducia reciproca, anche nelle incomprensioni, quando un giorno hai deciso di partire per altri lidi e per un po’ ci si è persi, per ritrovarsi poi di fronte alla Pieve di Sant’Alessandro a Giogoli, non una parola, “strano” per Giorgio, solo uno sguardo, un lungo abbraccio.
Allora abbiamo bussato noi a quella porta e tu hai aperto, sempre pronto ad ascoltare ed a costringerci ad ascoltarti, quelle lunghe confessioni, e poi chissà chi si confessava veramente, alla fine ti scordavi anche l’assoluzione, per poi benedirmi nel momento meno prevedibile (seduti a pranzo, o un attimo prima della messa).
Questo “costringere” ad ascoltare, ha fatto sì di seguire Don Giorgio in molte delle conferenze, in giro per l’Italia, dove portava quella Teologia Sacramentale e Nuziale a lui tanto cara, che ha sempre cercato di fare conoscere a tutti in modo semplice e profondo.
Giorgio ha “saputo tirare fuori il meglio di ognuno, segnando in modo indelebile la vita” di chi lo ha incontrato, qui a Pesaro (in Duomo, a Soria, a San Giuseppe ed a Fanano), a Tavarnelle di Val di Pesa ed alla Pieve di Sant’Alessandro a Giogoli (Scandicci). In quest’ ultimo luogo, intorno al campanile della Pieve, Don Giorgio ha diviso il suo tempo tra preparare le lezioni per l’Università Urbaniana, pubblicare trattati teologici di sacramentaria, scrivere poemi poetici, completare il progetto di una vita: San Basilio di Cesarea, e spaccare pietre, fare il muratore, aprire alla fede e all’incontro con Cristo, accogliere chiunque bussava in canonica per un pensiero, un aiuto. Qui, una splendida realtà di Chiesa nel corso degli anni si è riunita in una liturgia corale dove ogni singolo individuo è protagonista del proprio incontro con il Padre che, Giorgio, ha sempre cercato di rendere visibile a tutti.
Dalla comunità del Duomo alla Pieve di Giogoli, a Giorgio non è mai mancato l’amore per la montagna, per le vette da raggiungere (le “mitiche” vacanze nei luoghi dolomitici più disparati) dove poter ammirare lo splendore del creato e condividere la fatica e la gioia di ogni momento, compresa la classica partita a carte dove, ovviamente, Giorgio giocava “solo” per vincere.
Un giorno la parola tanto amata ha iniziato a faticare ad uscire dalla sua bocca, questo non gli ha impedito di continuare a scrivere, di essere forte testimone dell’amore al Padre, non è mancata neppure, in questi tre anni di fatica e sofferenza, l’attenzione per ogni persona, basta uno sguardo, piccoli gesti, le parole “pronunciate” con l’alfabeto muto dei bambini, come in un gioco per continuare quel dialogo che non si è mai interrotto.
Carmen e Alberto Sacco
Un “povero prete” col cuore e la mente in Dio
Appena il giorno dopo il commovente “Atto Accademico”, cioè la giornata di studi sul suo pensiero, con cui l’aveva voluto onorare la Pontificia Università Urbaniana di Roma, dove ha insegnato Sacramentaria, don Giorgio Mazzanti è tornato nell’abbraccio del Padre.
Don Giorgio è una di quelle persone che non ti lasciavano indifferente: il suo carisma, la sua passione o meglio, le sue passioni, per il Signore, per la Chiesa, per i Padri, tra cui il “suo” San Basilio, per la teologia, per i poveri, non potevano non colpire profondamente. Il “Dongio”, come lo si chiamava amichevolmente tra i giovani di San Giuseppe, dove fu parroco nei lontani anni 1977-79, era un pesarese doc, nato e cresciuto qui e diventato prete per la nostra chiesa. Soria, il Duomo, San Giuseppe, Fanano… sono state alcune delle parrocchie dove ha svolto il suo ministero, ma il Dongio volava sempre più alto, coinvolgendo giovani e persone di tanti posti, magari anche un po’ lontani dalle case canoniche.
Le sue omelie restano indimenticabili, tanto che alcune di esse sono state recentemente raccolte in un volume. Ma come dimenticare le sue citazioni, i suoi slogan: “Il centro sta nel mezzo”; “la fede è come andare in bicicletta di notte: più pedali e più fa luce” (quando ancora c’era la dinamo…); “Come va? Da poveri preti”; non è cambiando letto che passa la febbre”… Poi i libri da leggere ai campeggi, come “Il Piccolo San Placido” o “Le lettere di Berlicche”. E che dire delle sue innovazioni pastorali: la liturgia della Parola separata per i bambini; i gruppi di ascolto nelle case; i libretti con le meditazioni per Avvento e Quaresima fatti da lui; il cineforum con annessa discussione, che ci avvicinò a registi quali Pasolini, Buñuel, Bresson; il recital di Natale e tante altre esperienze forti. I santi, anche quelli a noi del tutto ignoti, erano i suoi compagni di strada, come santa Gemma Galgani o l’immancabile san Basilio e tanti altri che sentiva e faceva sentire vicini. Don Giorgio però non era un “santino”: era una persona vera, con i suoi difetti e le sue fatiche, ma di sicuro, con uno sguardo di fede che illuminava tutto!
Giogoli. Poi, d’improvviso, nel 1987 la scelta di andare a Firenze, dal “suo” don Divo Barsotti, perché sempre assetato di verità e autenticità, perpetuamente in cerca di Cristo. È così entrato nel clero di quella Chiesa, dove gli fu assegnata la magnifica pieve di S. Alessandro a Giogoli, zona di Scandicci, un paese a pochi passi dalla città. Lì crea un luogo di accoglienza, dove vivere insieme ai poveri e forma una comunità, che vive una fraternità concreta, fatta di servizio a chi soffre e di condivisione della tavola: quella della cucina e quella dell’Eucaristia. Una comunità sempre aperta ai parrocchiani del territorio o ai molti che sceglievano di salire fin lassù, a condividere la ricerca di Dio. Ma l’altra grande vocazione di don Giorgio fu l’insegnamento della teologia. Specializzatosi in Patristica, con una tesi proprio su san Basilio Magno, ha poi insegnato all’Istituto Teologico Marchigiano, che prima era a Fano (anch’io lo ebbi come professore). Quindi ovviamente a Firenze e finalmente a Roma, ovunque contagiando i suoi studenti con la sua appassionata ricerca.
Malattia. Dal 2017, l’incontro con la terribile malattia della SLA, che lo priva in breve della parola, della deglutizione e poi anche del controllo dei muscoli. Ma anche in questa strada così difficile, don Giorgio reagisce con le fede di sempre. Dirà: “Quando ho saputo di essere malato di SLA è stato un momento sconvolgente. Poi, poco a poco, mi sono messo in pace. Mi sono detto: Dio mi dice, hai parlato troppo. Adesso stai in silenzio (…) Ho dovuto come riprendere i dati di fede, ripassare uno ad uno i punti principali. (…) Cristo è risorto dai morti con il corpo. La morte è stata vinta per sempre, per tutti. Sono chiamato ad affondare in questo mistero, ripensando al seme (solo morendo si moltiplica). E siamo nati per andare all’incontro con Dio che ci unisce a sé, che ci invita alle nozze, sapendo che chi crede, chi ama, è già passato dalla morte alla vita. Vivere l’abbandono a Dio è una lotta. Ogni volta mi devo consegnare oltre la paura” (dall’intervista a “Famiglia Cristiana” del 21/09/2020).
Sacramento. Don Giorgio è stato un maestro, un pensatore profondo della teologia, abbeveratosi alla fonte dei Padri. Col suo linguaggio a volte difficile, ma più spesso immediato e coinvolgente, apriva squarci di luce sul mistero trinitario, letto sempre più, con la categoria nuziale. Non ha scritto solo opere di riflessione teologica o studi sui Padri, ma anche vari testi di poesie, dove la sua anima mistica si è potuta esprimere con libertà. Bellissime e riassuntive di una vita di studio, le parole che ha rivolto alla sua Università, proprio pochi giorni fa, in occasione dell’Atto Accademico: “Ho fatto la scelta di studiare il Sacramento con la categoria del simbolo. Questo aveva alcuni vantaggi: accogliere l’apporto di altre chiese e tradizioni Cristiane Ritrovare una dimensione presente nelle varie culture umane. Poi si è fatta la scoperta che il simbolo reale ha struttura triadica vedendo in tutto ciò un riflesso trinitario. Si è fatto un passaggio ulteriore ponendoci la domanda: se ci fosse un simbolo forte in ambito culturale e anche nel mondo religioso. Ci è parso che il simbolo nuziale rispondesse a queste esigenze. Tutta la storia biblica dalla Genesi alla Apocalisse può essere letta in chiave nuziale. Questo si verifica anche nelle molteplici altre religioni. Questo dato offrirebbe una grande opportunità nelle relazioni tra le chiese e le religioni. Ogni entità mantiene la propria distinzione. Che significa per ogni entità capacità di dono e accoglienza. In tale universo non si dà superiorità alcuna ma solo la festa del proprio riconoscimento. Soprattutto si intravede che insieme si può realizzare il sogno di Dio: essere tutto in tutti. Una fratellanza universale che sboccia e matura fino a comprendere che si è tutti chiamati è destinati alle nozze con Dio”. Ovviamente si potrebbero dire ancora moltissime cose di don Giorgio, ma alla fine, resta solo il grande “grazie” a Dio per aver incontrato sulla nostra strada, un testimone luminoso e fedele, che ci ha aiutato a scoprire la bellezza del volto di Cristo e della sua Chiesa. Grazie Signore e grazie don Giorgio!
Don Marco Di Giorgio
Tutti chiamati alle nozze con Dio
Secondo don Giorgio Mazzanti la nostra fede non è un’ideologia cui aderire ma l’esperienza quotidiana dell’amore nuziale di Dio per noi.
Pesaro – A CURA DI DON MARIO FLORIO
Un omaggio ad un sacerdote pesarese speciale e ai nostri lettori. Riportiamo a seguire la testimonianza di Don Giorgio Mazzanti, Docente emerito di Teologia sacramentaria presso la Facoltà di S. Teologia della Pontificia Università Urbaniana, in occasione dell’Atto accademico a lui dedicato giovedì 11 marzo 2021. Don Giorgio, a causa della SLA, è deceduto il giorno seguente.
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Ringrazio di questo momento in particolare modo il professore Muroni. Una bella occasione per salutare tutte le persone incontrate e chi è intervenuto sul mio insegnamento e sulla mia ricerca teologica. Un grazie sincero. Un atto accademico per me così poco accademico è un gesto di sorpresa e di gratitudine. Gli anni trascorsi in questa università sono stati un periodo ricco per incontri di persone per apertura di orizzonti culturali e religiosi. Ho avvertito l’insegnamento non come dettatura ma come la ricerca della verità di modo che la verità fosse una scoperta personale. Tenendo aperti gli orizzonti cronologici e geografici, accogliendo gli apporti, offerti, facendo interagire mondi culturali diversi in ambito più specificatamente teologico ma anche le varie espressioni umane. Ho fatto la scelta di studiare il Sacramento con la categoria del simbolo. Questo aveva alcuni vantaggi: accogliere l’apporto di altre chiese e tradizioni Cristiane. Ritrovare una dimensione presente nelle varie culture umane. Poi si è fatta la scoperta che il simbolo reale ha struttura triadica vedendo in tutto ciò un riflesso trinitario. Si è fatto un passaggio ulteriore ponendoci la domanda: se ci fosse un simbolo forte in ambito culturale e anche nel mondo religioso. Ci è parso che il simbolo nuziale rispondesse a queste esigenze. Tutta la storia biblica dalla Genesi alla Apocalisse può essere letta in chiave nuziale. Questo si verifica anche nelle molteplici altre religioni. Questo dato offrirebbe una grande opportunità nelle relazioni tra le chiese e le religioni. Ogni entità mantiene la propria distinzione. Che significa per ogni entità capacità di dono e accoglienza. In tale universo non si dà superiorità alcuna ma solo la festa del proprio riconoscimento. Soprattutto si intravede che insieme si può realizzare il sogno di Dio: essere tutto in tutti. Una fratellanza universale che sboccia e matura fino a comprendere che si è tutti chiamati è destinati alle nozze con DIO.
Giorgio Mazzanti
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«Corporeità, relazione e risurrezione rappresentano dunque i tre nodi di una riflessione in grado di mostrare una profonda continuità tra il presente della fede e il futuro della gloria. Dire corporeità, in rapporto all’esistenza umana, significa fare riferimento ad una corporeità sessuata nella duplicità differenziata e complementare del maschile e del femminile. […] Nella recente letteratura teologica la profondità di questa prospettiva magisteriale è stata ripresa e articolata in modi diversi. Mi riferisco alla prospettiva proposta da Angelo Scola da una parte e a quella proposta da Giorgio Mazzanti dall’altra. Il principio cardine di entrambe è rappresentato dalla nuzialità, pur con risvolti diversi e talvolta in dialettica tra loro. In questa sede va rilevato l’indubitabile valore euristico di un tale principio nel tentare di aprire nuove strade per investigare la realtà tanto della corporeità quanto del rito nel darsi delle forme concrete, dunque sessuate, della celebrazione sacramentale. In questo ambito la proposta di Mazzanti rappresenta un’interessante e provocatoria rilettura sistematica dell’intero ordito sacramentale (quella fondamentale e quella relativa al settenario) proprio in chiave nuziale».
Don Mario Florio
(da: M. FLORIO, Teologia sacramentaria. Temi e questioni, Collana GestisVerbisque 23, Ed. Cittadella, Assisi PG, 289).
La teologia, l’accoglienza dei più fragili, la Sla: don Mazzanti prete “di tutti”
Teologia, comunità e croce. Sono questi i tre volti del teologo pesarese don Giorgio Mazzanti che l’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori, ha tratteggiato nell’omelia del funebrale celebrato nella pieve di Sant’Alessandro a Giogoli dove don Mazzanti era priore dal 1987 e dove è deceduto lo scorso 12 marzo all’età di 73 anni. Dal 2017 era costretto al silenzio a causa della Sla, la sclerosi laterale amiotrofica, ma, prima che la malattia progredisse, aveva fatto in tempo a registrare 1.500 sillabe tramite un nuovo sistema di sintesi vocale; in questo modo era ancora possibile ascoltare e riconoscere la sua voce.
Così ha continuato a “predicare sui tetti”, ovvero dalla sua abitazione in cima alla torre medievale dell’antica pieve, scrivendo libri, omelie, poesie e celebrando la Messa in con- tatto video con la sua comunità. Il giorno prima di morire si è collegato con l’Università Urbaniana che ha voluto onorarlo con un Atto accademico dopo oltre vent’anni di insegnamento. «È come se avesse impiegato ogni ultima energia per poter essere presente – dice Pierangelo Muroni, decano della Facoltà di teologia – quasi aspettasse questo momento di congedo dall’Università, tanto che appena 24 ore dopo è venuto a mancare». Una mattinata di studi dedicata alla sua riflessione sulla “teologia nuziale” che ha richiamato uditori anche dalla Nigeria e dalla Cina. «Del resto don Giorgio – prosegue Muroni – era una persona amata e stimata da studenti e docenti.
Era il professore che aveva più tesi in tutta l’Urbaniana perché molti rimanevano affascinati dal suo tratto umano e dal suo pensiero ». Aperto alle diverse culture e ai vari tipi di linguaggio, si è mosso sul filone teologico sacramentale della nuzialità per rileggere il rapporto tra Cristo e la Chiesa. «Grazie alla sua formazione patristica – spiega Muroni – riteneva che proprio la categoria della nuzialità potesse mettere in dialogo le diverse fedi e confessioni». Quella di Mazzanti tuttavia non era una mera speculazione teologica ma una ricerca del mistero di Cristo nella vita quotidiana. «Una teologia vissuta sul campo e non fatta a tavolino – aggiunge Muroni – perché lui il paradigma della nuzialità lo ha vissuto concretamente.
È come se avesse sposato la comunità di Giogoli, prima nella scelta del sacerdozio, e poi aprendo le porte di casa a tutti: nessuno era escluso dal suo abbraccio». Aggiunge Emi Natali, docente della scuola di formazione teologica della diocesi di Pistoia e vicina alla comunità della pieve di Sant’Alessandro a Giogoli: «Mi piace definirlo il “prete di tutti” perché su queste colline approdavano davvero tutti come ad un porto di mare: persone con problemi di denaro, malati di Aids, famiglie rom, detenuti agli arresti domiciliari… Ma venivano da lui anche musicisti, poeti, scrittori e artisti di grande fama come ad esempio Carla Fracci che non mancava mai nel giorno di Natale».
Decine di migliaia le persone che sono passate dalla pieve, eppure don Giorgio non ha mai voluto fondare alcuna comunità, «perché per lui ciascuno era affidato solo a Dio – spiega Natali – anche se ti sosteneva e ti accoglieva con umana santità così come lui stesso ha poi accolto la Croce, cioè vivendo fino in fondo la malattia e sentendo tutto il peso della sofferenza. Imprigionato nel suo corpo immobile ha affrontato l’ultimo tratto con la serenità ma anche con il pianto. E la sua fede granitica ha vinto».
Roberto Mazzoli