In ricordo di Padre Tarcisio sarà celebrata una S. Messa sabato 18 gennaio alle ore 18.30 nella chiesa di Cristo Re a Pesaro
Testimonianza
DI SUOR JOAN JOSEPHINE AKERA
Parlando di Uganda non possiamo non ricordare Padre Tarcisio Pazzaglia, missionario comboniano morto nel 2018 e nativo di Serravalle di Carda (PU). In suo ricordo sarà celebrata una S. Messa sabato 18 gennaio alle ore 18.30 nella chiesa di Cristo Re a Pesaro. Pubblichiamo una lettera di Suor Joan Josephine Akera, dell’Istituto di Maria Immacolata di Gulu, che ha condiviso parecchie tappe di vita in missione con Padre Tarcisio, che in lingua acholi era chiamato “Loyaramoi”, ovvero il “grintoso oratore”.
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Ero appena una giovane religiosa quando nel 1988 Padre Tarcisio venne a prendermi a Kitgum per portarmi alla sua missione di Pajule con la sua famosa Toyota pick-up rossa, che aveva scherzosamente soprannominato “Oballim”, che significa: “quella che mi fa buttar via un sacco di soldi”.
A Pajule la vita non fu affatto facile. La missione era stata assalita dai ribelli e pochi mesi prima avevano ucciso alcuni catechisti, tra cui il capo catechista John Blue e la sua piccola figlia Santa. Padre Tarcisio decise di seppellire John nel cimitero della missione.
Padre Tarcisio sosteneva noi suore con la sua fede e il suo coraggio, ci insegnava anche strategie di sopravvivenza, come stare più al sicuro in caso di attacchi dei ribelli con armi da fuoco o bombe. “Quando sentite sparare, buttatevi giù a terra, andate subito sotto i letti o mettetevi al sicuro nei corridoi, protette dalle pareti per evitare le pallottole vaganti”. Ricordo quel 6 novembre 1988 quando i ribelli attaccarono la missione. Quella volta, grazie a Dio, nessun morto, ma i ribelli ci derubarono di tutto facendo molti danni alla missione. Loyaramoi lavorò senza paura e incessantemente per diffondere il Vangelo tra la gente. Infatti, quando quasi tutte le missioni vicine (Puranga, Kalongo, Namukora, Atanga) furono chiuse dal governo a causa dell’insicurezza che si era creata, Padre Tarcisio rischiò tantissimo per giungere nei villaggi dei dintorni e visitare i cristiani del posto e sostenerli con la celebrazione eucaristica. Si dedicò con molta passione alla preparazione di video sulla vita di Gesù ed altri video per insegnare alla gente come evitare di essere contagiati dal virus del HIV. Quando Pajule fu consegnata in mano al clero diocesano, Padre Tarcisio ed io fummo trasferiti a Kitgum. Ci dedicammo subito alla proclamazione della parola di Dio, alle visite nelle cappelle e alle opere sociali. Loyaramoi costruì strutture per ospitare ragazzi e ragazze per affrancarli da una vita di sbandati, per sottrarli alle mani dei ribelli, e fare in modo che potessero costruirsi un futuro dignitoso. Una di queste strutture fu dedicata a St. Bakhita.
Ha aiutato innumerevoli donne e uomini attraverso uno schema chiamato “rivolving fund”, un sistema di prestiti che tuttora funziona. Era un missionario convinto che non si può predicare il Vangelo a stomaco vuoto. Le opere di promozione umana erano per lui una priorità. A Pajule aveva avviato una scuola di taglio e cucito per ragazze. La scuola prese il nome di Maria, Min Ogaba in memoria della madre del capo del clan di Pajule. Il caso volle che, quando Kitgum fu a sua volta consegnata al clero ordinario nel 2015, Padre Tarcisio fosse assegnato alla missione di Kalongo dove anch’io ero stata destinata qualche anno prima. Quando partì per l’Italia alla fine del 2017 mi promise di tornare ancora in Uganda. Una settimana prima della sua morte, mi telefonò: “Non sono più sicuro di tornare come ti avevo promesso e non so più dove sarò seppellito perché ho ceduto il posto che mi avevano lasciato i miei genitori pensando di venir seppellito in Uganda, tra gli Acholi”. Ho perso un grande amico, abbiamo tutti perso un Padre amorevole, un grande uomo, semplice e umile.