In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (25 novembre), abbiamo scelto di dare voce al dramma di alcune donne del tutto dimenticate anche nella nostra provincia. Sono le vittime dello sfruttamento della prostituzione, un fenomeno presente anche nel nostro territorio anche se nascosto. Per tutelare la sicurezza delle ragazze, strappate al racket della prostituzione ma ancora sotto la minaccia dei propri aguzzini, abbiamo scelto di non svelare alcuna identità. Pertanto tutti i nomi che seguono, compreso quello delle mamme accoglienti, sono “di fantasia”. Per raccontare alcune di queste storie abbiamo incontrato Anna, giovane mamma di una Casa Famiglia Apg23 di Pesaro.
Anna in questa Casa Famiglia sono transitate tante donne vittime della tratta della prostituzione. Ci può raccontare qualche loro storia?
Tra le prime ad arrivare qui ho un ricordo speciale di Julia, una ragazza nigeriana di soli 19 anni. Timorosa e molto diffidente e con un modo di ridere e scherzare tipico delle ragazze nigeriane, coinvolgente e simpatico. Aveva una grande capacità di giocare con i miei figli piccoli come le ragazze nigeriane, abituate a crescere altri bambini, sanno fare. Assieme facevamo gli gnocchi, la pasta in casa. Dopo tre anni con noi è andata per la sua strada. Qualche tempo fa inaspettatamente, mi ha chiamato al telefono: «Sono in ospedale – mi ha detto – è nata la mia prima figlia Lucy e sei la prima che chiamo». Mi sono sentita un po’ nonna! Julia si è sposata, oggi ha tre figli e vive in Italia. Ogni tanto quando ha bisogno di un consiglio per i figli, mi chiama.
Ci sono anche ragazze provenienti da paesi europei e occidentali?
Abbiamo ospitato Veronika dalla Russia. È arrivata in casa piangendo perché aveva lasciato la figlia nel suo paese da sola con la nonna anziana e lei era dovuta venire in Italia per uscire da una povertà insopportabile. È stato difficile per me accompagnarla e darle piena fiducia perché anche mia figlia allora aveva la stessa età della sua, ma è stato un percorso che arricchito me e tutta la famiglia. Adelina invece veniva dalla Romania ed aveva un figlio già grande. “Lavorava” costretta in un locale, ma appena la polizia ha fatto irruzione e le ha chiesto se volesse scappare dai suoi aguzzini, non ci ha pensato due volte. È stata con noi pochi mesi poi è tornata al suo paese e noi abbiamo raccolto qualche soldo per il viaggio di ritorno: dopo alcuni mesi ci è arrivata una lettera da parte sua che ci ringraziava e diceva di essere tornata dal figlio.
Purtroppo non tutte le storie però sono a lieto fine.
Adriana era scappata, 15enne, dalla famiglia di un povero paese dell’Albania che la voleva dare in sposa a forza con un uomo. Lei era una ragazzina ribelle e così è stata tutto il tempo con noi. Diverse volte però scappava perché faceva fatica ad accettare le regole, non voleva farsi guidare da nessuno ma poi tornava sempre perché forse si sentiva voluta bene. Ora speriamo che stia bene. Poi ricordo una ragazza che, appena arrivata, portata dalla polizia mi ha detto: «ho una figlia in Romania, se non torno le fanno del male». Mi ha salutato e se ne è andata con la testa bassa e piena di angoscia.
Safiyah, la strada e poi la rinascita
Un’altra testimonianza arriva da Safiyah, giovane Nigeriana vittima della tratta che ha trovato la salvezza a Pesaro, grazie all’associazione Papa Giovanni XXIII.
Violenze. Un giorno in Nigeria, al mio paese, mentre andavo al posto dove imparavo a fare i capelli, ho incontrato un’amica, che mi disse che c’era un uomo di Benin City che cercava ragazze per lavorare in Germania a servire in un ristorante, lì è iniziato il mio incubo…Ho attraversato il deserto fino alla Libia, nelle mani di uomini crudeli, poi in Italia dopo essere stata salvata da un piccolo gommone sono stata ripresa da altri. Io non avrei mai voluto prostituirmi. Piansi tanto, mi costringevano picchiandomi e minacciandomi, mi insultavano, dovevo farmi usare; una volta venne pure un uomo che parlava inglese mi fece delle domande, come “da quanto sei in Italia?” “perché sei sulla strada?”. Gli spiegai tutto e gli dissi che non volevo prostituirmi, ma lui prese quel che voleva di me, e poi se ne andò. Mi facevano spostare a Genova, Torino, Roma. Quando mi rifiutavo ero costretta a dormire per strada. Altre volte mi hanno picchiata e lasciata sul pavimento quando ero sfinita e non potevo andare in strada.
Rinascita. Un giorno ero molto malata e non riuscivo a mangiare, così con l’ambulanza arrivai in ospedale e lì scoprii di essere incinta: mi volevano fare abortire mi minacciavano.Mentre cercavo l’ospedale, incontrai una signora nigeriana con tre bambini. Le chiesi dove era l’ospedale e le raccontai che dovevo andare ad abortire. Lei mi disse che il medico non parlava inglese e allora mi accompagnò. Entrammo ad aspettare con molte altre persone. Mi chiese perché volevo abortire e io le raccontai che mi mandavano a prostituire per pagare i miei aguzzini. Allora lei mi disse di non abortire perché anche a lei era capitato, che anche lei era stata sulla strada, ma poi era stata accolta in una casa famiglia. Fu così che presi coraggio, non volevo uccidere il mio bambino. Rientrai in silenzio, presi le mie cose e salii su un autobus. Scappai anche se avevo paura che tornassero a cercarmi per riprendermi. Chiamai la ragazza che era stata nella casa famiglia e la incontrai alla stazione del treno assieme a dei membri dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. E così ora sono tornata a vivere grazie ad una Casa Famiglia di Pesaro.
La Apg 23 nel nostro territorio
Nel territorio di Pesaro e Fano sono nate nel corso degli anni alcune Case Famiglia dell’associazione Apg23, la comunità Papa Giovanni XXIII fondata da Don Oreste Benzi. Esistono inoltre altre cosiddette famiglie aperte all’accoglienza e Centri Diurni. Nel territorio dell’Arcidiocesi di Pesaro si contano due famiglie aperte all’accoglienza e tre Case Famiglia. Questi i loro nomi: “Cinque pani e die pesci”, “La perla preziosa” e “S. Maria che scioglie i nodi”. Nel territorio della diocesi di Fano vi sono quattro famiglie aperte all’accoglienza, e tre Case Famiglia. Questi i loro nomi: “Sant’Anna”; “Casa Carezza di Dio”; e “Betlemme”. Sempre nel fanese sono attivi anche due centri diurni: “Il mosaico” per disabili gravi e “ Il girasole” centro aggregativo per minori.
L’associazione Apg23 è stata la prima in Italia a creare case per accogliere donne sfruttate dal racket prostituzione. Si stima che le vittime in Italia siano tra 75mila e 120.000, con più di 3milioni di clienti per un giro d’affari di circa 90 milioni di Euro. Il 65% opera in strada ed il 37% son minorenni tra i 13 e 17 anni.