SOFTAIR – INTERVISTA ALLO PSICOLOGO E PSICOTERAPEUTA DANIELE MARINI
I bambini sparano per gioco ma il rischio è educativo
Sulle Cesane piccoli pesaresi si “addestrano” alla guerra con i genitori
Una bomba nucleare sulle Cesane. Niente paura. A disinnescarla qualche settimana fa ci hanno pensato alcuni ragazzini pesaresi di età compresa tra i 9 e i 15 anni. Tute mimetiche, elmetti, maschere antigas. Bambini soldati nella foresta con armi automatiche di ultima generazione e addestrati con sofisticate tecniche di guerriglia. Nella realtà si è trattato solo di una simulazione o meglio di un gioco chiamato “Softair”. Le armi sono ad aria compressa e sparano proiettili di plastica. Possono causare lesioni anche gravi ma ciò non accade se si usano le dovute protezioni. Dato il particolare realismo delle attrezzature, è fondamentale per lo svolgimento dell’attività che i partecipanti comunichino luogo, ora e data dei raduni, alle autorità di pubblica sicurezza, così da non incorrere in problemi con i residenti nell’area o eventuali persone sul campo di gioco. Ma se tutti i maschietti da bambini hanno giocato alla guerra il dubbio sorge quando ad incentivare all’uso di Kalashnikov e bombe a mano sono i genitori di ragazzini talvolta anche piccoli. Abbiamo interpellato in merito lo psicologo e psicoterapeuta Daniele Marini che svolge la sua attività a Pesaro e Loreto.
Dottore, il “softair” può davvero considerarsi un gioco?
Credo sia necessario aver chiaro che cosa intendiamo quando usiamo il termine ‘gioco’. Con questo voglio dire che giocando ognuno di noi ha imparato a confrontarsi con la vita, e quindi con la realtà ed in particolare con i limiti e le regole. Quindi possiamo definire il softair un gioco ma allo stesso tempo sappiamo che in tale attività bambini e adolescenti si stanno misurando all’interno di un contesto che presenterà loro una simulazione di guerra.
Quali benefici e problemi possono sorgere nei bambini che praticano questa attività?
Essendo un gioco che avviene fuori delle mura di casa, credo che l’attenzione vada posta sul che cosa un bambino sta cercando nel mondo attraverso questa attività. In altre parole, con quali parti di sè vuole misurarsi e in che modo vuole entrare in contatto con gli altri.
Perché un genitore propone di impugnare un Kalashnikov invece ad esempio di una racchetta da tennis?
La domanda tocca un punto nevralgico della relazione genitori-figli dei nostri giorni ovvero il trasmettere a quest’ultimi il vero significato delle cose e l’uso che possiamo farne. Se un genitore decide di regalare a un figlio un fucile-giocattolo sta implicitamente comunicando lui che con la tale oggetto potrà misurare la propria forza e coraggio. Ma sappiamo bene che tali valori sono trasmissibili attraverso ben altri canali.
Dato il contesto in cui ci troviamo e in riferimento alle tante guerre che coinvolgono realmente bambini e bambini soldati, non si corre il rischio di far uscire questo gioco fuori dalla sua funzione educativa?
Il giocare alla guerra è da sempre una delle attività ludiche ‘tipiche’ che i bambini fanno per confrontarsi e misurarsi con gli altri, ma rimane nella sfera educativa il farlo in modo protetto, sotto casa con gli amici di scuola. Il softair non lo ritengo una modalità educativa perché nella sua ricerca ossessiva di particolari di ambienti e strumenti di guerra rischia di promuovere nei bambini un eccessivo coinvolgimento di energie fisiche e cognitive di fronte ad un aspetto della realtà che andrebbe non simulato in tal modo ma affrontato con modalità didattiche ed esperienziali che portino i piccoli a porsi domande critiche e ricche di senso.
Quanto l’assuefazione alla violenza allontana dalla realtà?
Il tema della violenza ha radici bibliche e quindi è un aspetto della vita umana che richiama in ognuno di noi emozioni profonde come ad esempio la paura ma al contempo anche la rabbia fino ad arrivare all’odio. Il punto è che oggi la massiccia informazione senza filtri è una delle cause che gli psicologi definiscono con il termine di ‘anestesia emotiva’. L’indigestione che i bambini fanno nel vedere scene di violenza senza filtro rischia di esporli a tale anestesia, ovvero al non collegare in modo chiaro l’emozione provata di fronte ad uno stimolo visivo. La realtà è però altra cosa da quella mediata dai canali informativi.
Tv, videogiochi, sport estremi. … quanti stimoli all’aggressività e alla violenza subiscono i ragazzi di oggi?
È proprio vero, oggi assistiamo ad una eccessiva promozione di stimoli che richiamano la violenza. Chiediamoci però perché hanno un così alto riscontro nelle nuove generazioni. Che cosa i ragazzi non trovano dentro casa,e perché si orientano alla ricerca del limite, dell’estremo vissuto o simulato. La domanda che può aprire un dialogo su tale aspetto diventa appunto il ‘che cosa manca’ in loro; e l’anello mancante in una giusta regolazione genitoriale-filiale viene sostituita dalla ricerca di altro che possa colmare quel vuoto relazionale.
A cura di Roberto Mazzoli