Lucia Annibali: «dopo il male, la grazia di Dio»
VERSIONE INTEGRALE DELL’INTERVISTA PUBBLICATA SU “IL NUOVO AMICO” N. 24 DEL 22/6/2014
E’ una Lucia Annibali che non ti aspetti quella che accetta per la prima volta un’intervista su temi molto intimi e personali come la fede, la spiritualità, la preghiera… “In realtà – ci dice – sono gli argomenti di cui più preferisco parlare, piuttosto che del resto di cui mi sono stufata. Queste sono cose che sento davvero e vi ringrazio che mi date la possibilità di parlarne pubblicamente per la prima volta”. Sorprende Lucia anche nella sua disponibilità all’incontro. Sceglie di venire lei nella nostra redazione in via Rossini lo scorso lunedì 9 giugno. Poco prima dell’intervista, in segno di ospitalità, le abbiamo preparato una brevissima visita guidata sotto la Cattedrale, alla scoperta dei meravigliosi mosaici paleocristiani di Pesaro. Poi è lo stesso arcivescovo Piero Coccia ad invitarla a salire in episcopio per una breve udienza privata. Lucia accetta con grande disponibilità. Manifesta tutta la sua forza e tranquillità anche se, ci dice “questo incontro con Il Nuovo Amico segna anche la prima volta che faccio due passi da sola qui, in città a Pesaro dopo quel 16 aprile 2013”. Il timore per la sua incolumità è ancora presente, ed è logico che sia così, “ma – ci dice – pian piano passerà anche quello”.
Sorprende infine Lucia per le sue risposte immediate, frutto di una grande forza e maturità interiore. Un parlare diretto, a proprio agio senza false retoriche. Un tono dolcissimo nell’esporre i propri sentimenti, sempre gioioso e profondo. Solo per un momento l’emozione prevale e allora scorre una lacrima … “che non dovrebbe uiscire”… dice con ironia. Una bellezza straordinaria che unita alla sua semplicità, la rende davvero sorprendente. Glielo facciamo notare e lei, per tutta risposta, ci spiazza un’altra volta. “Lo so che faccio questo effetto – ci dice – me lo dicono sempre tutti”.
La filosofa tedesca Hannah Arendt coniò l’espressione “banalità del male” riferendosi alla Shoah e all’annientamento del popolo ebraico. Anche chi ha pensato di aggredirti con l’acido voleva annientarti. Quanto ti ritrovi in questa definizione della Arendt?
Il male l’ho potuto toccare e l’ho visto molto chiaramente. Davvero posso dire che esiste. Ma ho sperimentato che il bene è molto più potente, anche se necessita di essere coltivato per fare in modo che si propaghi. Però si, è vero. Il male è banale perché è fine a se stesso e non ha risposte in sé. Non può trasformarsi in nulla di positivo, non può creare niente ma può solo distruggere. Non ha nulla da cui attingere come esperienza umana. Posso tuttavia affermare che la sconfitta peggiore per il male è proprio il bene.
La pensavi così anche prima dell’aggressione che hai subito?
Fino a che non tocchi con mano esperienze del genere, non riesci a pensare che possa esistere davvero una tale malvagità. Anzi forse non ti soffermi neanche più di tanto a rifletterci, se non in maniera superficiale. Invece quando ti incontri con la morte devi decidere se vuoi la vita oppure non la vuoi più. Ed è lì che cambia completamente la tua dimensione. Perlomeno questo è ciò che è successo a me.
Tu parli spesso dei tuoi genitori, di tuo fratello… Quanto la famiglia ti ha trasmesso la forza, la fiducia negli altri e i valori in cui credi?
La famiglia dà veramente l’impronta alla persona. Poi è chiaro che le scelte sono individuali e ciascuno indirizza la propria vita da solo. La famiglia però ti plasma in qualche modo a sua immagine.
A proposito di famiglia. Nella tua biografia dici che prima dell’acido non hai mai sentito il bisogno di fartene una perchè prima volevi realizzarti. Oggi parli di maternità…
Non è che io abbia mai avuto un forte istinto materno. Più che altro mi riferisco al desiderio di fare qualcosa di bene. Per esempio l’idea di adottare un bambino potrebbe essere l’occasione per mettere in pratica questa mia necessità. E anche queste sono riflessioni che tu fai sulla vita…
Quindi nonostante tutto hai conservato una grande fiducia negli altri e nel futuro. Molti tuoi coetanei invece pensano che non valga la pena avere figli proprio per evitare di farli crescere in un mondo negativo e pieno di pericoli e malvagità.
Sì ma quello è un ragionare troppo sulle cose materiali e quotidiane. Quando vivi esperienze estreme vedi le cose in maniera più completa. E poi la fiducia, sì ma non proprio in tutti. Il fatto è che io sono sempre molto spontanea e offro me stessa. Poi magari mi accorgo dopo – forse – di altre questioni. Oggi però avverto un po’ di più se a qualcuno davvero importa oppure no di me. Ad esempio verso ciò che mi è capitato.
Sempre nel libro scrivi che un gruppo di suore ha pregato per te quando rischiavi di rimanere cieca. Che effetto ti ha fatto sapere questo?
Non un gruppo ma tanti gruppi di suore. Queste preghiere non mi hanno fatto sentire abbandonata. Perchè, nonostante la vicinanza di tante persone, nel letto di ospedale alla fine sei da sola. Nel mio caso poi ero anche cieca e non mi sono sentita sola a lottare per cercare di riconquistare quello che rischiavo di perdere, che avevo perso e che stavo perdendo. Quelle preghiere mi hanno dato solidarietà. Ho sentito che mi volevano bene e mi hanno dato un senso di vicinanza che mi ha aiutato moltissimo.
Cosa sono per te la fede e la preghiera?
Io penso che la fede significa accogliere ciò che ti viene dato. Può essere una cosa bella oppure brutta. Nel mio caso mi è capitato un grande dolore fisico a cui veramente non si è preparati. Un dolore lungo che ti lascia debilitato e con tante incognite. Però se tu lo sai accogliere, lo accetti e lo ascolti vedi anche le possibilità e le occasioni che ci sono in tutto ciò. Per me la spiritualità e il rapporto con Dio è questo. Essere in contatto veramente con quello che ti viene mandato e vedere una grazia in questa esperienza. Oggi penso che questo evento sia davvero il senso della mia vita: “Io ti do questo perché tu alla fine ne faccia un dono per te stessa, per chi incontri e per chi pensi ne abbia bisogno”.
Per questo sento un forte bisogno di tornare in ospedale a Parma. Ho bisogno di essere lì fisicamente perché anzitutto quando entro lì con le mie gambe, in piedi, mi ricordo di avercela fatta e poi perché è come essermi riconciliata proprio con la vita. Lì dentro c’è un’umanità che reincontro ed è come respirare, prendere ossigeno.
Per molte persone la fede è un po’ un antidolorifico…
Sì ma più che altro il fatto è che uno chiede sempre: “ ti prego dammi questo, fammi quest’altro, fa’ che si realizzi questa cosa…”. E invece bisogna imparare a ringraziare.
Nell’ospedale di Parma c’è una cappella. Lì andava la mia famiglia a pregare quando ero ricoverata all’inizio. L’ultima volta sono andata apposta per dire grazie a Dio che mi fa così forte e che mi mantiene in questo modo. Ho detto “grazie che mi hai dato tutto questo ma anche la forza per sopportarlo”.
Nella Via Crucis del 2014 al Colosseo una stazione era dedicata al tema della violenza contro le donne. E’ stato detto: “le donne sono un dono inviolabile per tutta l’umanità”. Che contributo in più potrebbe dare la Chiesa su questo versante?
Questo Papa pronuncia delle frasi che sono davvero ispiranti. Mi ricordo di aver letto alcuni passaggi dove parlava degli infermieri, dei medici e delle carezze. La Chiesa può fare molto ma bisogna anche trovare una predisposizione, una mentalità e approccio un po’ diverso. C’è sempre troppa tendenza nella società a voler distruggere e a non vedere le cose con ottimismo e positività e questo non aiuta a far recepire i messaggi a pieno. Il fatto è che siamo tutti umani e ognuno è preso da sè mentre bisognerebbe distaccarsi un po’ di più da noi stessi.
Hai incontrato i vertici dello Stato italiano: Napolitano, Boldrini, Renzi… Saresti contenta di conoscere Papa Francesco?
Sarei molto contenta ma vorrei che fosse una cosa assolutamente personale. Un incontro di vita. Per raccontargli quello che mi è successo e dirgli come vivo oggi, con la mia semplicità. Mi colpisce molto quando parla della Croce, del dolore e dei santi, che poi sono esseri umani e non esseri irraggiungibili. Come dicevamo prima, è il modo in cui tu accogli quello che ti viene dato che ti rende santo.
Nel Vangelo si legge: “Beati quelli che hanno fame e sete della Giustizia perché saranno saziati” (Mt 5,6). Tu hai sempre dimostrato una grande fiducia nella giustizia. Che valore ha per te questo concetto?
Nel mio caso la giustizia è un riconoscimento dei sacrifici e del fatto di aver creduto ogni giorno di potercela fare. La giustizia che penso di avere ricevuto è quella di essere stata ripagata dei miei sacrifici e del mio impegno di non mollare mai. Credo che la giustizia aiuta a coltivare anche la serenità e dà una forza in più per andare avanti e continuare.
C’è qualcos’altro che vorresti aggiungere prima di salutarci?
Vorrei invitare le persone a riscoprire la gentilezza, un valore che tutti sottovalutano un po’ troppo e che invece può essere molto curativo.
A cura di Roberto Mazzoli