Si è conclusa, domenica 27 ottobre con la Santa Messa al bocciodromo, la visita pastorale del vescovo Armando nella vicaria di Fossombrone. “Innanzitutto vorrei ringraziare per l’accoglienza ricevuta, grazie ai presbiteri tutti, grazie al popolo di Dio ancora molto vicino alla Chiesa nonostante le nostre fatiche e insolvenze. Il nostro territorio possiede ancora delle eccellenze di ospitalità, di familiarità, di freschezza umana, di voglia di esserci nel territorio, di tutela delle tradizioni di animazione civile e sportiva. Ringrazio le autorità civili, militari e scolastiche per la cortesia e la stima accogliente e discreta. Sappiamo tutti quanta fatica e dedizione sono necessarie per gestire e amministrare la cosa pubblica in questi tempi di recessione. Serviamo lo stesso popolo; non siamo né concorrenti, né alternativi. Il fatto stesso che facciamo questa assemblea in un luogo laico e pubblico dice con chiarezza che la Chiesa vuole includere e non distinguere il nostro popolo, pur con compiti e carismi distinti, ma non distanti. In attesa di mettere per iscritto alcune indicazioni e orientamenti – ha proseguito il Vescovo – vorrei parlarvi della bellezza e delle rughe della Chiesa. Prima dell’ordinazione episcopale ho sempre guardato la Chiesa con l’occhio del figlio che riposa tranquillo e sereno nelle braccia di sua madre. Adesso, da vescovo, vengo scoprendo nella Chiesa la Sposa: i sentimenti sono profondamente diversi. Quando si guarda il volto della propria madre le rughe si notano, ma non si osservano, poiché ne modellano la bellezza: quando invece si ammira il volto della sposa le rughe si notano, si osservano e, addirittura, si contano. Le rughe che vado scoprendo sul volto della nostra Chiesa particolare non ne diminuiscono la bellezza, ma talora ne velano lo splendore. Provo a indicarne alcune con pudore e audacia, sia pure con beneficio di inventario: più che un alveare laborioso, che vive l’avventura dello sciame, ho la sensazione che la nostra diocesi talvolta sia un ‘formicolaio frenetico’, in cui ciascuno tira dritto per la propria strada, dimenticando che la ‘concordia’ è il cemento dell’unità; più che una casa famiglia, aperta al soffio impetuoso e fiducioso dello Spirito Santo, talvolta mi affiora l’idea che la nostra Chiesa sia ‘un condominio’ di parrocchie, di associazioni, di movimenti che si trattano con rispetto, ma si guardano con un po’ di sospetto; più che una fucina missionaria, talora ho l’impressione che la nostra diocesi sia un’officina pastorale che, all’incalzare della secolarizzazione e della modernità, si limita a limitare alcuni servizi di manutenzione ordinaria, assicurando alcuni interventi di emergenza, vedi la fatica di unire le forze e le comunità guardando il futuro a non troppa distanza; più che un ovile spesso affiora in me il dubbio che la Chiesa particolare sia un recinto dove ci si sente protetti, forse anche ristretti e tuttavia al riparo dalla sfida di aprire il cantiere dell’Atrio dei Gentili, costruendo un ponte tra sagrestia e sagrato; più che un chiostro dove risuona l’eco della parola di Dio, che dà voce alla profezia, talora la nostra Chiesa corre il rischio di essere un cortile in cui si avverte il chiasso del letargo spirituale e il silenzio del lungo inverno vocazionale. Per quanto le rughe della nostra Chiesa particolare possano essere marcate, non riescono a cancellare la dolcezza dei suoi lineamenti materni e la bellezza del suo volto di Sposa. Vorrei che fosse chiaro a tutti che la nostra diocesi è davvero splendida ai miei occhi”.
Il Vescovo, in conclusione, ha voluto offrire ai fedeli lo spunto per ripensare e approfondire alcuni aspetti nella comunità e nel territorio. “E’ avvertita più che mai la necessità di una Chiesa in ascolto della Parola di Dio e in ascolto attento delle esigenze del popolo di Dio, una Chiesa che sia simpatica, esemplare e positiva con testimoni autentici, una Chiesa che sappia sentire il respiro dei lontani e non sempre chiusa in se stessa, una Chiesa capace di chinarsi sui deboli, una Chiesa di cristiani adulti e collaborativi che sappiano e vogliano traghettare il cambiamento nella speranza e nel lavoro interparrocchiale e territoriale, occorre che la famiglia recuperi il ‘pranzo della domenica’ come luogo di incontro, di affetti espressi, di narrazione delle esperienze, una pietà popolare purificata da eventuali eccessi e rinnovata nei contenuti e nelle forme. E’ necessario – ha proseguito il vescovo Armando – passare dalla ‘pastorale del campanile’ a quella del ‘campanello’ ed educare i giovani con autorevolezza e nella verità”.