
In margine alla testimonianza di Cristina Acquitapace, tenutasi lo scorso 4 aprile presso la Parrocchia della Santa Famiglia (zona Fano 2), abbiamo intervistato sua mamma, Marilena Sutti, per capire il coinvolgimento della famiglia in questa scelta vocazionale. La signora Marilena ha 62 anni ed è un’infermiera in pensione. Dopo le nozze della secondogenita Francesca (39 anni), la famiglia Acqsuitapace è oggi composta dai figli Stefano (27 anni) e Cristina (40 anni). Il papà di Cristina, Vincenzo, ha 66 anni, insegnante di professione e cuoco per passione che – dice la signora Marilena «Ci coccola con pranzetti gustosi e si occupa anche dei nostri cani Squot, Nene e Uriel».
Gentile signora Marilena come ha vissuto la scelta di sua figlia di consacrarsi a Dio?
Quando Cristina nel 1991 mi raccontò di aver sentito la voce di Gesù che le chiedeva di seguirlo, io sinceramente non diedi molto peso alla cosa, anzi, scherzando le chiesi se in Kenya le avessero dato da bere qualche strano intruglio. Mi sembrava tutto assurdo e quindi per parecchio tempo sia io che mio marito cercammo di lasciare che pian piano se ne dimenticasse, cosa che però non avvenne. Ci trovammo dopo qualche anno di fronte a una richiesta molto seria. Cristina dopo un mio ennesimo tentativo di convincerla che non mi sembrava indispensabile consacrarsi per poter fare del bene, mi rispose che lei doveva vivere la sua vita e non la nostra e che quando Dio chiama mezza risposta non serve. A quel punto mi resi conto che non potevo più scherzare su una cosa tanto seria.
Quali semi vede germogliare nella sua città intorno alla vocazione di sua figlia?
Mi rendo sempre più conto che quando la sentono parlare con tanta naturalezza di cose importanti, soprattutto i giovani, rimangono positivamente impressionati. Mi accorgo che riesce a infondere fiducia e speranza e nel mondo di oggi la speranza è fondamentale. A volte capita che le scrivano dopo averla incontrata e sono sempre parole che ci danno la misura di quanto possa essere positivo per molti giovani essersi potuti confrontare con una persona apparentemente diversa ma alla fine semplicemente speciale.
Avete mai subito il pregiudizio della gente?
Nel 1972 quando è nata Cristina i pregiudizi erano di gran lunga più frequenti ma anche ora ne incontriamo spesso, purtroppo anche da parte di persone dalle quali non ce lo aspetteremmo. Non ci siamo mai lasciate turbare più di tanto e abbiamo constatato che serve di più passare sopra a tante assurdità senza scomporsi. L’ignoranza è una brutta malattia e sono in tanti a soffrirne.
«Presto nascerà l’ultimo bambino danese affetto dalla sindrome di Down». Così un quotidiano danese di qualche mese fa. Cosa ne pensa delle nuove spinte eugenetiche?
Credo che le spinte eugenetiche siano quanto di più irragionevole una nazione possa attuare e non posso nemmeno immaginare di essere d’accordo con chi decide che a un bimbo destinato a nascere con la sindrome di Down si possa negare il diritto alla Vita.
Che messaggio vuole dare in particolare ai genitori di ragazzi affetti da sindrome di Down?
Mi sento di poter garantire che la serenità di un figlio non dipende dal numero dei suoi cromosomi, questo lo penso e lo tocco con mano ogni giorno. Per il resto io posso dire che questa figlia che ci è stata affidata 40 anni fa non ha fatto altro che renderci persone migliori.
A cura di Roberto Mazzoli