“Si ha la sensazione di essere in trincea e di non avere le armi giuste per combattere”. Come dare torto a Matteo Donati, responsabile del Centro di Ascolto, che, insieme agli altri componenti dell’équipe della Caritas diocesana, ha incontrato giovedì 21 marzo l’Arcivescovo Piero Coccia per un esame della situazione.
I dati forniti dall’Osservatorio delle Povertà e Risorse per il 2012, seguito da Miria Lazzari con la collaborazione di Rosa Tomasello, sono preoccupanti: un numero crescente non solo di immigrati, ma anche di italiani si sta rivolgendo alla Caritas con esigenze sempre più varie e complesse: senza fissa dimora, disoccupati, cassaintegrati, sfrattati, separati, divorziati. Persone che hanno bisogno di un alloggio adeguato, di lavoro, consulenze giuridiche, visite mediche e che spesso, per età, sono al di fuori dei circuiti lavorativi. Una folla di poveri, disagiati, emarginati, esclusi, rispetto ai quali anche i servizi sociali istituzionali sembrano spaesati.
PICCOLI MIRACOLI
E’ vero: la Caritas sta facendo tanto. Il Centro d’Ascolto, ha detto il direttore don Marco Di Giorgio, è diventato una “foresta di servizi”: buoni mensa, docce, distribuzione alimenti e vestiario, consulenza di avvocati e assistenti sociali; persino un piccolo “Centro Salute” con medici e dentisti disponibili a prestazioni gratuite due volte la settimana. Il tutto con una schiera di volontari che provengono dalle situazioni più varie. Sono nate fruttuose collaborazioni (come quella con l’Associazione “I bambini di Simone”) e sono stati fatti notevoli passi avanti anche nella sensibilizzazione dei pesaresi, tanto che grazie alla loro generosità (oltre che al finanziamento di vari Enti) – ha dichiarato il responsabile del settore economico Valentino Fazi – il bilancio del 2012 è andato quasi in pareggio.
L’Arcivescovo ha invitato, innanzitutto, a riconoscere e valorizzare questi “piccoli miracoli”. E’ anche vero che si può fare di più e meglio. Si può proseguire con maggiore decisione nel coinvolgimento dei parroci, ha detto Giorgio Filippini, responsabile del “Laboratorio di promozione delle Caritas parrocchiali”. Si possono, ha aggiunto il vicedirettore della Caritas Emilio Pietrelli, istituire o animare i Consigli Pastorali delle singole parrocchie, valorizzando l’azione dei laici. E’ assolutamente necessario, inoltre, ha sottolineato l’Arcivescovo, dare ordine alla gestione complessiva della Caritas, collegandola all’ “Opera di Religione”, ente diocesano recentemente rivitalizzato, con compiti di natura amministrativa e gestionale.
Ma tutto questo riesce ad eliminare la sensazione di “non avere le armi giuste” per combattere la povertà? Realisticamente no. E allora?
NEI POVERI IL VOLTO DI CRISTO
Viene spontaneo pensare a Madre Teresa di Calcutta e alle sue suore: a che cosa è servita o serve la loro pur straordinaria opera rispetto ai milioni di poveri dell’India? Ma la Santa a chi le chiedeva “Perché fate questo?” rispondeva: “Perché amiamo Gesù”. E amare Gesù significa sì imitarne lo spirito di servizio soprattutto verso gli ultimi, ma prima ancora significa fidarsi di Lui, credere nella Sua signoria sul mondo e sulla povertà. Essere certi che la “tenerezza” di Dio agisce misteriosamente verso ognuno di quei poveri, anche quando noi ci sentiamo – e siamo – servi inutili. Le opere di carità che costruiamo valgono come “segni” che solo un Amore più potente può trasfigurare. E’ per questo che l’Arcivescovo insiste tanto sulla necessità di tutelare il carattere “pastorale” della Caritas e di lavorare sulle motivazioni e sull’educazione alla fede degli Operatori.
Perché – e proprio in questi giorni la Chiesa ne fa memoria – senza la Resurrezione di Cristo, la vera ”arma giusta” che salva dal limite ogni azione umana, la nostra lotta contro la povertà sarebbe impari e destinata, in ogni caso, al fallimento.
Paola Campanini