Stare in carcere senza avere l’appoggio della famiglia è veramente dura. Io, che ho 40 anni, sono attualmente recluso presso la Casa circondariale di Villa Fastiggi. Non ho la possibilità di effettuare nessun colloquio con la mia famiglia, perché ho una mamma anziana che vive in una casa di riposo a Torino.
Mio padre è venuto a mancare quando ero piccolo e le mie due sorelle più grandi vivono anche loro in Piemonte. Io quindi nelle Marche sono solo. Psicologicamente a volte mi viene meno la forza di andare avanti, anche per
motivi che a molti potrebbero apparire banali.
Un esempio? I miei indumenti personali. Non ho nessuna possibilità di poterli mandare a lavare fuori da qui. Me li devo lavare da solo: dalle lenzuola fino ad arrivare ai maglioni. Ci si può mettere tutta la volontà possibile, ma non è mai come lavarli a casa. Ultimamente ho dovuto chiedere aiuto anche alla Caritas
diocesana per avere a disposizione degli indumenti intimi, perché ero rimasto senza. Questa è la mia realtà delle cose. Sinceramente anche solo parlandone me ne vergogno molto, anche se so che chiedere aiuto alle associazioni
di volontariato non significa sentirsi umiliati, come mi succede spesso.
Poi questa mia attuale carcerazione mi ha allontanato anche sotto l’aspetto
sentimentale dalla mia convivente, che risiede in questa regione. Oltre ad essere lontano dalla mia famiglia d’origine, non ho più neanche il
sostegno da parte della mia ex compagna, che avrebbe potuto aiutarmi magari anche solo sotto l’aspetto psicologico.
La famiglia mi manca anche quando sento i miei compagni di cella che vengono chiamati dagli agenti penitenziari per andare al colloquio con qualcuno dei propri cari. Mi piange il cuore e non perché sono geloso, ma
perché penso: “Quando avrò anche io il mio primo colloquio?”.
Doty
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