Il sovraffollamento è, purtroppo, un tema ricorrente nel “pianeta carcere”. Per fronteggiare questo fenomeno nel corso della storia del nostro Paese sono stati adoperati 35 provvedimenti di amnistia e indulto: il primo con Regio Decreto del 17 ottobre 1942, l’ultimo il 31 luglio 2006.
Il periodico ricorso a questa soluzione trova la sua ragione nelle condizioni del nostro sistema penitenziario. Tuttavia, la politica e l’opinione pubblica criticano i provvedimenti indulgenziali che, senza affrontare all’origine i problemi del sistema penale-penitenziario italiano, finiscono solo per rinviare una riforma strutturale del sistema della giustizia penale.
La situazione attuale è insostenibile: oltre agli spazi limitatissimi nella stanza di detenzione, l’accesso a tutti i servizi viene progressivamente ristretto: docce, aree di passeggio, assistenza medica, colloqui con le figure professionali dell’area pedagogica.
Privati dei diritti più elementari, i detenuti si rifugiano in sempre più frequenti forme di protesta, pacifiche nel migliore dei casi, lamentando la mancanza di spazi vitali, le strutture spesso fatiscenti, le infiltrazioni d’acqua, i servizi igienici inidonei col conseguente rischio di infezioni batteriche o virali. Il sovraffollamento ha inoltre costretto gli operatori addetti ai lavori ad una denuncia dei tagli indiscriminati che, con le ultime leggi finanziarie, hanno colpito tanto le forniture per il mantenimento dei detenuti quanto i mezzi a disposizione, ma soprattutto il personale in servizio negli istituti di pena.
A pagare le conseguenze di questa politica sono anche i detenuti che, sempre più degradati dalla condizione di persone, si vedono trattati alla stregua di animali, ammassati in gabbia in barba alle regole degli spazi minimi e privati dei servizi più essenziali. Il carcere oggi assomiglia sempre più a un girone dantesco dell’inferno, dove sono “lamenti, pianti e stridor di denti”.
La capienza costituzionale
La provata correlazione tra sovraffollamento, severità del regime detentivo e frequenze delle morti per suicidio dei detenuti ha portato il DAP (Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria) a emanare nel 2010 una circolare dal titolo “Nuovi interventi per ridurre il disagio derivante dalla condizione di privazione della libertà e per prevenire i fenomeni autoaggressivi”, seguita dalla circolare del 2011 dal titolo “Modalità di esecuzione della pena”.
Lo stesso Comitato Nazionale di Bioetica ha elaborato un proprio parere in data 25 giugno 2010 con “Il suicidio in carcere. Orientamenti bioetici”. Occorre considerare come nel 2010 i morti per suicidio avevano raggiunto il numero record di 64, superato nel 2011 con 66 decessi; quest’anno si è giunti a quota 53 al 7 novembre 2012 (fonte: www.ristretti.it, Dossier “Morire di carcere”). Purtroppo a questa competizione non si sottraggono neanche gli Agenti di polizia penitenziaria.
Il dibattito politico, amministrativo e massmediale sul sovraffollamento ha prodotto una pluralità di espressioni tecniche attraverso le quali si cerca di quantizzare il fenomeno come “capienza regolamentare”, “capienza tollerabile”, “capienza di necessità”, “capienza anti-tortura” – quest’ultima corrispondente ad almeno 7 metri quadrati a detenuto secondo le indicazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo -, mentre coerentemente si dovrebbe parlare della sola “capienza costituzionale”, che non può limitarsi alla capacità delle celle ad accogliere più o meno posti letto a castello, ma alla capacità di garantire la sua finalità circa la risocializzazione del reo e trattamenti nel rispetto dell’umanità che l’Art. 27 Cost. Comma 3 impone ad ogni legislatore, all’amministrazione e agli operatori penitenziari.
Questa situazione ha destato l’attenzione del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, che ha avanzato proposte per una possibile soluzione, sia attraverso l’introduzione di pene alternative alla detenzione, già in esame, oltre ad un possibile, speciale ricorso a misure di clemenza. Anche l’attuale Ministro della Giustizia Paola Severino ha dichiarato di “condividere pienamente le parole del Presidente della Repubblica”.
Indulto e amnistia
Come operatore penitenziario credo fermamente alla necessità impellente di ricorrere all’indulto e amnistia, poiché tocco con mano questa realtà angosciosa quotidianamente, ma come cittadino comprendo il timore di quanti pensano al fenomeno “inevitabile” della recidiva. Dopo aver sperimentato la pena “accessoria” delle conseguenze tremende del sovraffollamento, se venissero concessi l’indulto e l’amnistia, si confermerebbe il trend dell’indulto 2006, con una recidiva molto inferiore alla media, come confermato dal Sottosegretario alla Giustizia di allora, Luigi Manconi.
Per questa ragione credo che si debba attuare un piano concreto di aiuto per il reinserimento nel tessuto sociale dei detenuti attraverso presidi istituzionali e della società civile, ma soprattutto occorre un’adeguata sistemazione dei tossicodipendenti e dei malati psichiatrici in strutture terapeutiche funzionali a quel recupero che il carcere non può garantire.
Donato Antonio Telesca Ispettore Capo Polizia Penitenziaria Casa Circondariale di Pesaro
SCHEDA
Al 31 ottobre 2012 erano 66.685 i detenuti reclusi (compresi i detenuti in semilibertà) nei 206 istituti di pena italiani, a fronte di una capienza regolamentare di 46.795 posti. Più di un terzo, ossia 23.789, sono i detenuti stranieri; minima è la componente femminile, ovvero 2.857 donne (di cui 1.137 straniere). Al 30 aprile 2012, erano 54 i bambini sotto i 3 anni che vivevano in carcere con le madri (51 detenute). (Fonte: www.giustizia.it, sito del Ministero della Giustizia)