Disegnare e scrivere poesie sono da sempre il mio unico modo di comunicazione, l’unica valvola di sfogo per esprimere tutto quello che mi circonda e che vivo. Tuttora è così. Nonostante sia migliorato nei rapporti umani, ancora oggi la penna e la matita rimangono i miei migliori amici, l’unico modo d’espressione concreta per rispecchiare il mio limpido e incensurato stato d’animo. Quando disegno mi catapulto in un’altra realtà, in un mondo parallelo dove tutti i miei sentimenti e istinti prendono forma. E lo stesso accade quando scrivo. Tutto è chiaro e ciò che prima era un semplice foglio bianco prende vita e acquista un senso. Forse qualcuno a volte si è avvicinato a comprendere il mio pensiero, ma nessuno lo ha mai veramente capito e del resto fatico io per primo a comprendermi.
Il mio maestro d’arte un giorno mi consigliò di usare la “qualità”. In principio non gli diedi troppo peso, probabilmente neanche avevo capito a cosa si riferisse. Poi, continuando a parlare, mi resi conto che riuscivo ad esprimere perfettamente tutti quei sentimenti che non sapevo esternare e allora capii a cosa si riferiva. Per la prima volta stavo raccontando ad un’altra persona ciò che credevo solo il foglio potesse capire. La carta però non ha mai potuto rispondermi, mentre ora esisteva un dialogo. Chi stava dall’altra parte mi dava “qualità”. Instaurare rapporti di “qualità”, cercando di essere il primo ad offrirla. Certo non è facile. Io ho sempre trovato difficoltà, forse perché mi capita di sottovalutarmi o di sottovalutare gli altri.
Il pregiudizio è una brutta bestia, ma fa parte di ciascuno di noi, figuriamoci in carcere. Qui la “qualità” è merce rara e instaurare rapporti veri, dove metti a nudo la tua intimità, è come cercare di far passare un cammello per la cruna d’un ago o far entrare un elefante in un negozio di cristalli, con la pretesa che non rompa nulla.
Tutto sommato mi reputo fortunato perché, su 300 detenuti della Casa circondariale di Pesaro, già averne trovati tre con i quali potermi aprire non è cosa da poco.
Oggi però mi domando chi incontrerò fuori e con chi potrò aprirmi. Se qui sono tre e vivono la mia stessa realtà, all’esterno quante persone saranno disponibili ad instaurare un rapporto di “qualità” mettendo da parte il pregiudizio?
EMI
Sono solo grida
o urla di dolore
dal basso ventre
di chi si illude.
Perdere il mondo
e ritrovarsi,
io non ci sono,
io non ho tempo.
Eccolo il tempo
ci cresce dentro
come una malattia
disimparata, astratta
di volti, nomi, cose
che ci vivono dentro,
e non puoi far altro,
sorridi, sanguini, cammini.
(emi)
1 commento
Bravo!!!