Quando Paolo VI
donò la tiara
di Pasquale Macchi – già segretario di papa Paolo VI
Appassionato desiderio di una autentica ed effettiva fratellanza umana, di una civiltà dove «nessuno manchi di pane e di dignità, e tutti abbiano come supremo interesse il bene comune» – così come si esprimerà nel suo imminente viaggio in India – non era soltanto un sentimento, ma concretezza del suo stesso modo di vivere, come appare da molti episodi e in particolare dal “dono” della tiara, che avviene poco prima della sua partenza per Bombay.
II 13 novembre 1964, festa di san Giovanni Crisostomo, il papa concelebrò nella Basilica di San Pietro la solenne liturgia in rito bizantino insieme a S. B. il Patriarca di Antiochia dei Melchiti Massimo IV Saigh (1878-1967), uno dei protagonisti del Concilio. Al termine della liturgia, il Segretario generale del Concilio, dopo aver ricordato che la Chiesa seguendo l’esempio di Cristo Redentore sempre è stata madre dei poveri, annunciò che «il Papa donava a loro la sua tiara».
Il Santo Padre stesso, sceso dal trono, si recò all’altare e tra le più vive acclamazioni depose la sua tiara sulla mensa. La tiara gli era stata donata dalla Diocesi di Milano. II gesto commovente suscitò una grande sorpresa: forse non tutti lo approvarono, anche perché implicava per i successori la rinuncia alla tiara e al triregno e comportava una visione nuova dello stesso mandato papale.
Certo non si trattava di un gesto improvvisato, ma che aveva radici remote: era l’espressione di una particolare sensibilità di Paolo VI, del suo desiderio di una povertà più conforme all’insegnamento e alla scelta di Gesù, in piena armonia con il Concilio che stava parlando di una “Chiesa dei poveri”.
Cinque giorni prima, rivolgendosi ai soci della Conferenza di san Vincenzo di Roma, li aveva salutati come «amici dei poveri». «Voi vi appropriate di una qualifica che amiamo noi stessi portare e che vorremmo sempre documentare nell’espressione dei sentimenti e nell’esercizio del nostro ministero». Si potrebbero qui rievocare molti altri gesti di Paolo VI in favore dei poveri, a cominciare dalle sue esperienze nelle borgate romane nei primi anni di sacerdozio e poi nelle periferie di Milano. Una sera, al termine della riunione nella sede milanese delle Conferenze di san Vincenzo, al passare della borsa per la consueta questua tra i soci, l’Arcivescovo, che non aveva mai denaro con sé, vi mise il suo anello episcopale, senza che nessuno se ne accorgesse.
Così si capisce come il dono della tiara papale sia nato quasi spontaneo, come coerenza con la volontà di una sequela di Cristo sempre più generosa e totale. Tuttavia esso non fu dettato solo da uno spirito di povertà. Paolo VI aveva sempre molto presente il problema ecumenico, e voleva con ogni mezzo evitare tutto ciò che in qualche modo accentuasse distanze, incomprensioni, dissapori tra la Chiesa Cattolica e le altre Chiese Cristiane.
Testo tratto dal volume di Pasquale Macchi, Paolo VI Nella sua parola, Morcelliana, 2014